Vittorio Sgarbi posta sulla sua pagina la mia foto con sotto il titolo del Corriere: «Ilaria Cucchi assolta. Definì “sciacallo” Matteo Salvini». Questo il suo commento: «Provate a dare dello sciacallo a un magistrato: vediamo se i suoi colleghi invocheranno il diritto di critica...». Quando vidi il cadavere di Stefano all’obitorio in mezzo alle urla disperate dei miei fu uno shock terribile. Sensazione simile provai quando portammo le sue foto al Senato.

Fabio me lo aveva spiegato: senza l’attenzione dei media non saremmo andati da nessuna parte. Aveva assolutamente ragione. Proprio in quei giorni venivano scritte al Comando Gruppo e Provinciale dei Carabinieri di Roma le cause di morte di Stefano ancor prima che venisse completata la sua autopsia. Così iniziò il “processo mediatico del caso Cucchi”. Il tema non era se noi lo avessimo abbandonato o meno. Ovvio che non lo abbiamo fatto. O se fosse un drogato o meno. Il tema era come e perché fosse stato ridotto così nelle mani dello Stato. Come fosse ammissibile tanta violenza. Come poteva essere accaduto che un ragazzo di 31 anni appena compiuti, uscito sano dalla palestra dopo aver cenato dai suoi genitori, fosse poi stato restituito alla famiglia morto in quel modo.

Semplice no? Tutt’altro! Non è proprio così. Del caso di Stefano Cucchi si interessò subito anche la politica. Le prese di posizioni furono all’inizio bipartisan. Autorevoli esponenti della maggioranza di governo di allora (centrodestra) si unirono a quelli delle opposizioni nella unanime indignazione per quanto accaduto. Mio padre ne conserva gelosamente tutta la rassegna stampa.

Ben presto il dibattito politico iniziò a divaricarsi in binari che presero sempre più direzioni opposte. C’erano coloro che continuarono a seguire la nostra tragica vicenda ponendo la questione centrale vera: garantire verità e giustizia alla famiglia che ostinatamente e, talvolta disperatamente, chiedevano allo stato in cui continuavano comunque a credere. Garantire, soprattutto, il rispetto dei diritti umani anche agli ultimi come era mio fratello. E c’erano coloro che, viceversa, iniziarono a spostare i termini della questione invocando rispetto e onore per l’Arma dei Carabinieri da noi mai messi in discussione. Ma il loro messaggio era veicolato sempre di più in modo tale che fosse percepito il contrario. Che fossimo noi ad attaccare le istituzioni perché ci ostinavamo a non accettare il fatto che Stefano Cucchi fosse morto per colpa sua e nostra. E che, in fin dei conti, avergli tolto la vita non era tutto questo gran problema per nessuno.

Paradossalmente, il fatto di iniziare a far vera luce sulla sua uccisione ha inasprito i toni e la veemenza di politici che hanno in questo modo ottenuto visibilità ed ascolti offendendo Stefano, me ed i miei genitori nel nome della tutela delle forze dell’ordine. Ricordo lo spot di Salvini mentre dice che se durante un arresto ci scappa qualche ceffone o qualcuno cade non succede nulla di male. Che, ogni volta che si parla del mio processo, urla con enfasi a difesa delle forze dell’ordine. Che io poi gli faccio schifo.

Matteo Salvini ha tanto seguito. È stato di recente anche il nostro ministro dell’Interno. Io non amo offendere nessuno. Non mi appartiene proprio. Tanta gente ha imparato a volermi bene perché sono una cittadina normale che aveva una vita normale. Che aveva aspirazioni del tutto normali. Ha capito che noi rispettiamo profondamente le istituzioni.

Continuiamo a crederci. Quando arrivò il giorno della sentenza della corte D’Assise di Roma che condannava gli imputati per l’omicidio di Stefano fu per noi un momento di indescrivibile emozione ed anche di grande dolore. Un traguardo per troppo tempo irraggiungibile.
«Questo dimostra che la droga fa male». Questo il commento che fece Salvini ripetendolo ossessivamente e in più occasioni.

Sciacallo. Sì, questo mi è venuto da dirgli. Io faccio schifo ma tu sei uno sciacallo. Non l’ho mai detto a nessuno altro. Noi per lui siamo carne da macello per la sua propaganda. Così io mi sono sentita.
Ora Vittorio Sgarbi critica provocatoriamente, da par suo, la mia archiviazione. Lo rispetto. Gli dico che mi sarei fatta anche processare e condannare ma non mi sarei mai rimangiata quel che ho detto. Ritengo di averne avuto tutto il diritto. Sulla mia pagina pubblica sono comparse offese nei confronti di Salvini. Sono subito intervenuta con un post per chiedere rispetto per lui. E per noi. L’epiteto sciacallo nella mia occasione specifica se lo è proprio meritato ma questo non deve legittimare nessuno ad offenderlo gratuitamente. Soprattutto sulla mia pagina e nel nome mio o di Stefano.

Sono felice che quel post abbia avuto tantissimo successo.
Su quella di Vittorio Sgarbi, purtroppo, proliferano insulti e minacce nei miei confronti. «Schifosa», «puttana» e via dicendo. Si invocano per me le botte pari a quelle ricevute da Stefano. E poi via a tante falsità sul nostro conto. Tanto odio motivato anche dal risarcimento avuto a suo tempo per la morte in ospedale di mio fratello. Dilapidato in undici anni di battaglie giudiziarie che ci hanno tolto lavoro e salute. Ma se mi fossi appropriata come responsabile di un partito, di decine di milioni di euro dati dallo stato, sarebbe andato tutto bene. Non sto parlando di Salvini. Ovviamente.

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