Siamo a un tornante complicatissimo, nel quale rischiamo di vedere vanificato il lavoro di questo anno e mezzo di governo. Non è un caso che si sia giunti a questo punto. Quel lavoro e lo schema di alleanza che lo ha sorretto, che per noi sono stati una conquista faticosa e sono un punto di partenza (pur con limiti evidenti), per altri erano problemi da rimuovere il prima possibile.

Ora si tratta di tentare l’impresa di dare continuità, dentro la nuova fase, a quel lavoro e a quello schema, provando a muoversi insieme e provando a determinare il più possibile la forma e il contenuto del nuovo governo. È ciò che opportunamente in queste ore Articolo Uno sta facendo e che Giuseppe Conte ha appena ribadito, in un intervento di alto profilo, con grande senso dello Stato e di responsabilità.

In questo contesto, mi pare impossibile dare un giudizio sull’ipotesi Draghi senza andare a vedere le carte del suo ipotetico governo.

Tutto dipende dal perimetro delle forze che lo sosterranno, dal tasso di politicità del governo, dalla composizione della squadra e di conseguenza dai contenuti programmatici che quella squadra esprimerà. Per questo, in primo luogo, dipende da quanto terrà l’asse tra noi, il Pd e i Cinque Stelle, cioè da quanto la maggioranza che ha sostenuto il Conte II rimarrà solida - e riconoscibile e anche legittimata - in questo nuovo passaggio.

Sono convinto che occorra andare al confronto con Draghi (la cui autorevolezza non è neppure in discussione) con questo spirito di apertura, con disponibilità e con l’ambizione che il governo sia sostenuto e animato - proprio per rispondere all’invito di Mattarella - da forze dichiaratamente europeiste.

Analogie e differenze col passato

Detto questo, voglio però aggiungere due questioni. La prima riguarda la presunta analogia con esperienze di governi tecnici passati (Amato, Ciampi, Dini, lo stesso Monti).  Non mi sfuggono gli elementi comuni, ma a me pare ci siano anche molte differenze. La più palese è che in quei casi il mandato internazionale con cui i governi nascevano era chiaramente quello di ridurre il debito pubblico e contenere salari e inflazione in una condizione disperata per le finanze nazionali. In questo caso, con Draghi, invece il mandato - se esiste un mandato e se Mattarella ne è in qualche modo garante - è assicurarsi che le risorse del Recovery non solo non vadano sprecate, ma si traducano in crescita economica e punti di Pil.

Oggi, al contrario di allora, penso che ci siano oggettivamente i margini per tradurre il debito "buono" in politiche espansive anche a beneficio delle classi popolari. E che ci siano oggettivamente i margini per proseguire quella politica di investimenti, crescita della spesa sociale, innovazione, transizione ecologica e digitale che abbiamo provato a impostare in quest’anno e mezzo. Non è un caso che lo stesso Draghi ieri abbia parlato di crescita, rilancio, coesione sociale e dialogo con le parti sociali, cioè presupposti - non già proposte di governo, ma presupposti - che stanno all’interno di questo solco.

In secondo luogo, in un contesto così fragile da imporre necessariamente cautela e prudenza, sono convinto che ci si debba rivolgere al Paese, perché questo ragionamento, da solo, non è sufficiente. E per parlare al Paese servono passioni e sentimenti (l’idea della compartecipazione emotiva alla sofferenza sociale e sanitaria della nostra gente, la capacità di esprimere la consapevolezza del disastro in cui siamo, della fatica quotidiana della vita e della sopravvivenza di milioni di nostri concittadini).

E parole d’ordine programmatiche da ribadire ad alta voce: proroga del blocco dei licenziamenti e della cassa integrazione; riforma degli ammortizzatori sociali; investimenti massicci in ricerca e sviluppo e non solo; centralità di Università e scuola pubblica; campioni nazionali pubblici in tutti i settori strategici; riconversione industriale ambientale, da Taranto in poi.

Potrei continuare ma mi fermo. Il riferimento al programma è urgente perché senza contenuti la politica perde sostanza. E noi, in questo passaggio, ci giochiamo molto, anche rispetto al futuro della sinistra (intesa come parte, come organizzazione, come pensiero), rispetto alla sinistra degli anni a venire. Non è poco.

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