Nemmeno una pandemia emancipa la nostra classe politica dall’interesse di parte. Il Recovery Fund ha scatenato la febbre dell’oro. Questione di metodo e di sostanza: dove, con chi e come investire i miliardi di euro. Nulla di illegittimo, soprattutto in un governo di coalizione, dove il confronto tra le parti su obiettivi, processi e tempi può essere un’iniezione di energia e di miglioramento delle decisioni.

Il potere di veto dei numeri piccoli non è necessariamente un male, anche se è una delle ragioni usate contro il sistema proporzionale. I veti ci sono anche in un sistema maggioritario, con la differenza che qui i panni sporchi vengono lavati dentro il partito di governo.

Ciò che di positivo hanno i governi di coalizione è che la trattativa non riesce a nascondersi al pubblico. Sotto gli occhi di tutti è il momento critico del governo Conte II.

Una parte della coalizione sventola la minaccia di una crisi. Le condizioni sono purtroppo favorevoli. Il partito di maggioranza parlamentare, il Movimento Cinque stelle, è così sfilacciato da non riuscire a fare argine ai vai umori che lo attraversano, spesso identici a quelli dei partiti di opposizione. Il Pd soffre di una debolezza strutturale per l’interna contaminazione degli slanci conflittuali di Italia Viva.

Nessuno dei due alleati ha un’identità definibile sulla quale scommettere sul futuro del governo. E questo è un fattore di instabilità: partiti liquidi, segreterie che non riescono a coagulare le fazioni in una posizione unitaria. Il governo è come un ricoverato in un reparto di rianimazione, tra la vita e la morte. Non c’è consenso sulla diagnosi, perché al suo capezzale ci sono medici con diversi metodi diagnostici e diverse finalità. Per alcuni il suo destino è scritto nel numero quotidiano dei morti da Covid; per altri nella sua debolezza strutturale; per altri ancora nella premeditazione di alcune sue parti.

Per chi guarda all’aspetto utilitaristico, la questione del Recovery Fund è la causa scatenante. Il duca Valentino, racconta Machiavelli, diede a Remirro de Orco l’onere di reprimere i territori della Romagna appena conquistati per poi preservare la sua buona reputazione presso il popolo. Apparendo di fare il bene, lasciando fare il male ad altri.
Così oggi, chi cerca la crisi, dice al pubblico che a parlare è il numero dei morti. Sapendo che non si può andare a elezioni anticipate, la forza dei numeri diventa potere di veto. Dal che si vede, che il numero dei morti c’entra poco o nulla (molti dei critici sono stati generalmente critici delle restrizioni anti contagio). Anzi, è proprio grazie a quel numero e al fatto che non ci siano spazi per sciogliere le Camere, che il potere di veto diventa fatale.

Diceva Montesquieu che il popolo non ha competenze per governare ma ha la capacità di giudicare i politici. I cittadini dubitano che la motivazione dietro questa sfida sia il numero dei morti, anche perché questa responsabilità dovrebbe includere anche i governi regionali. E fanno bene a dubitare. La ragione dell’utilitarismo di parte è più calzante. Ma è così poco nobile che nessuno la vuole ammettere pubblicamente.

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