«Auguratevi di non sparire all’improvviso per strada, prelevati dalla polizia e fatti scomparire perché magari avete fatto una foto dove non dovevate. Altro che turismo!». «Siete andati a vedere il luogo dove è stato ritrovato Regeni?». «Mentre siete al sole a fare post con un braccialetto all inclusive, noi teniamo il nostro braccialetto col nome impresso “Giulio Regeni”. Per le Giulio e Giulie che mentre siete in vacanza subiscono ogni giorno privazione dei diritti in un paese pericoloso». «Nessuno che conosce la storia di Regeni dovrebbe andare in Egitto. Vergogna!».

Da qualche giorno mi trovo in Egitto per una vacanza desiderata dai tempi più duri della pandemia (non so se è capitato anche a voi di chiedervi cosa di imperdibile non avreste visto mai, se foste morti in quei mesi. Beh, la mia risposta era stata: le piramidi).

E succede che, mentre sono qui a mordere il tempo che avrei potuto non avere, alcuni italiani si indignino per la mia scelta di venire in Egitto, il paese che ha torturato e ucciso Giulio Regeni.

Alcuni collettivi e attivisti mi hanno ricordato che si sta ancora cercando di ottenere la verità sull’accaduto e che sarebbe opportuno boicottare il paese finché non si avrà giustizia.

Insomma, sarei come Matteo Renzi che va a stringere la mano al mandante di un brutale assassinio, con una fondamentale differenza: io pago, lui era pagato. Lui è un politico, io no. E non è una differenza da poco, per le ragioni che vado a spiegare.

E senza turismo?

La prima è, appunto, la questione economica. L’economia dell’Egitto si regge soprattutto sul turismo.

Col Covid è andato perso un milione di posti di lavoro. Interi nuclei familiari sopravvivono grazie ai membri della famiglia assunti come camerieri, cuochi, receptionist, animatori, responsabili di hotel nel Mar Rosso, al Cairo e nelle località turistiche sul Nilo.

In un paese in cui lo stipendio medio è 270 dollari e il 40 per cento della popolazione vive sotto la soglia della povertà, la pandemia è stata mancanza di ossigeno anche per chi non si è ammalato.

A questo si è aggiunta la guerra in Ucraina, che vede l’Egitto tra i paesi più colpiti dalle conseguenze: qui infatti esiste un’importante dipendenza dal grano russo e ucraino, per cui i prezzi della materia prima sono già aumentati e sono già stati tagliati alcuni sussidi alimentari.

Ci sarebbe molto altro da dire, ma il succo della faccenda è semplice. Ero a Luxor e la mia guida, un brillante egittologo di nome George a cui ho sottoposto la questione Regeni, mi ha risposto sinteticamente: «Io so solo che qui se ci togliete il turismo, ci togliete tutto. Non abbiamo altro di cui vivere».

Ecco, io non penso che boicottare possa voler dire affamare. Non penso che la giustizia si ottenga perpetrando un’ingiustizia. Non penso che si possa lottare per i diritti umani, privando persone innocenti del loro diritto a una vita dignitosa, al lavoro, alla sicurezza sanitaria e alimentare. Io non credo, soprattutto, che si combattano i regimi isolando i regimi, perché a farne le spese sono sempre le fasce più deboli della popolazione. E perché più si isola un paese in cui i diritti umani non sono garantiti e più in quel paese si potranno sopprimere i diritti umani senza che qualcuno se ne accorga.

E le Maldive?

C’è poi un discorso di coerenza ed opportunità molto più complesso, che però dovrebbe tenere bene a mente chi si indigna perché vado in Egitto.

Tutti vogliamo giustizia per Giulio Regeni, certo. Ma i nostri morti non valgono più di altri. Non dovremmo più andare in tutti i paesi in cui i diritti umani vengono violati regolarmente ed alcuni di quei paesi hanno le palme e il mare cristallino delle Maldive (dove nelle carceri si muore uccisi e torturati come Regeni) o della Thailandia o di Dubai e di altre mete che occupano la metà delle pagine Instagram dei turisti italiani.

Non dovremmo più andare in America, visto che lì sopravvive perfino la pena di morte, ovvero un omicidio commesso dallo stato che evidentemente ci indigna meno quando si tratta di andare a trascorrere il Capodanno a New York.

La verità è che il turismo non finanzia solo un governo. Il turismo finanzia un’infinità di insiemi e sottoinsiemi che hanno bisogno di sostentamento per poter emanciparsi e anelare a democrazia e libertà.

Impoverire le fasce più deboli non vuol dire solo affamarle, vuol dire chiuderle a quelle contaminazioni culturali che danno consapevolezza di essere brutalizzati da governi repressivi. Io non so se boicottare turisticamente l’Egitto possa aiutare a ottenere giustizia per Giulio Regeni.

So però con certezza che molta ingiustizia ricadrebbe sugli egiziani più sfortunati, quelli che forse non sanno nulla di Giulio Regeni perché tutte le mattine si svegliano con un unico pensiero: chissà se oggi riuscirò a comprare il pane per la mia famiglia grazie a un turista che è venuto fin qui per vedere la valle dei Re.

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