Non è un troll, è proprio Ursula von der Leyen, è il suo account ufficiale, è tutto vero. Ieri, mentre la crisi dell’aereo dirottato e la questione Bielorussia piombavano sul Consiglio europeo, la presidente della Commissione Ue ha fatto la sua passerella verso il vertice e ha prodotto un tweet che è passato in sordina nel dibattito pubblico, ma che si è fatto notare in rete. 

«Abbiamo un pacchetto economico e di investimenti del valore di tre miliardi di euro, pronto per la Bielorussia, quando sarà diventata democratica».

Regime change ben pagato

La presidente della Commissione europea sta dichiarando senza troppi filtri che l’Europa intende promuovere un regime change, un cambio di regime, a colpi di soldi promessi. I commenti al tweet aprono punti di dibattito non da poco: «Coi soldi si comprano i valori?», «Avete dato miliardi a Erdogan e non mi pare che sia servito ad avere una Turchia più democratica», «Se si ragiona così cosa succede se la Russia offre di più?», «Lei sta promettendo a un dittatore i soldi di noi europei». 

Anche i tweet più ironici smascherano la debolezza del tweet della presidente: «Cosa succederebbe se qualcuno, magari la Cina, offrisse all’Europa trecento miliardi purché diventi socialista?». 

Lo “stile von der Leyen”

Questa non è la prima occasione in cui la presidente della Commissione produce tweet imbarazzanti nel pieno di crisi internazionali. 

Negli istanti in cui le cronache internazionali riferivano di 119 palestinesi, anche bambini, uccisi e degli attacchi israeliani su Gaza, Ursula von der Leyen condannava una parte sola: «Condanno gli attacchi indiscriminati di Hamas contro Israele», nessuna condanna invece per Israele stessa. 

Che si tratti di scivoloni inconsapevoli oppure della scelta di riflettere le posizioni in politica estera della Germania, di cui von der Leyen è stata ministro della Difesa per poi finire travolta in uno scandalo per corruzione, certo è che posizioni simili non rendono la vita facile pure al più oltranzista degli europeisti. Anche se, va ricordato, la nomina di von der Leyen nasce sopra un tradimento dell’europeismo, perché chi si batte per una governance sinceramente democratica ed europea chiede anche che venga rispettata la regola dello spitzenkandidat: chi prima delle europee si candida a presidente per la famiglia politica che poi prende più voti, merita la presidenza. Meccanismo fatto saltare proprio da Angela Merkel, che dopo il voto ha di fatto contribuito a impallinare il frontrunner popolare Manfred Weber.

Errori senza conseguenze

Da allora, neppure i fallimenti all’inizio della campagna vaccinale hanno davvero messo a rischio la presidenza di von der Leyen. Questo a prescindere dalle capacità dimostrate. Anzi, per qualcuno – qualcuno che scrive proprio da Berlino, e cioè Peter Kuras di Foreign Policy – l’ascesa politica di von der Leyen è costellata da una lunga serie di inadeguatezze, che però, affiancate dalle connessioni al potere sue e della sua famiglia, non ne hanno mai minacciato la posizione acquisita. Ne “L’aristocratica inettitudine di von der Leyen”, Kuras tra le altre cose scrive: «La sfiducia dell’opinione pubblica tedesca verso von der Leyen era così forte che quando stava per essere nominata a Bruxelles, nonostante si trattasse della prima tedesca a ricevere l’incarico dai tempi di Walter Hallstein nel 1958, la cosa è stata accolta con grande scetticismo». 

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