Il governo sta per varare la legge sulla concorrenza, che doveva essere annuale e invece è ferma al 2017, per i numerosi ostacoli frapposti dagli interessi costituiti che imbrigliano il Paese. È un tornante decisivo per darci, se non un'economia innovatrice e dinamica - servirebbe ben più d'una buona legge della concorrenza – almeno una più aperta.

Se c'è un governo in grado di sciogliere le incrostazioni è questo, ma ha un compito erculeo. Bisogna attaccare legioni di poteri, sia cosiddetti forti, che semmai sono solo grandi (relativamente, s'intende), sia minimi ma diffusi.

Dobbiamo aumentare i poteri delle autorità di regolazione (ad esempio sulle tariffe), avviare gare per i servizi pubblici locali, mettere a gara le concessioni balneari per cui lo Stato incassa, su migliaia di chilometri di coste, solo 100 milioni l'anno. E poi le concessioni idroelettriche regionalizzate che devono tornare al centro, il commercio ambulante, etc..

Sono tanti gli interessi collettivi che una buona legge sulla concorrenza può proteggere; per rimuovere i vincoli che avvantaggiano pochissimi privati a detrimento dei moltissimi, difendere il territorio dalla speculazione e dal dissesto idrogeologico, conciliare crescita economica e equilibrio ecologico, chiudere rendite di posizione ingiustificate, etc.

La nostra destra non si smentisce mai e difatti agli obiettivi collettivi s'oppone la Lega, dietro cui si allineano i Fratelli e i Forzisti italiani. Ignara del severo lascito della destra storica post-unitaria, essa non sarà fascista forse, ma confusamente nostalgica sì; dimentica di “legge e ordine”, ora s'ispira a “Dio, Patria e Famiglia”. Sempre per l'individuo contro lo Stato, onde l'uso di aberranti concetti come “scudo” o “pace fiscale”.

La concorrenza non è un bene assoluto, da anteporre a tutto il resto, ma può smuovere un Paese in cui la mobilità sociale è minima, tanto che le famiglie più ricche di Firenze sono le stesse da 600 anni; si veda la ricerca Bankitalia del 2016, autori Guglielmo Barone e Sauro Mocetti.

Scoperta dell'America, rivoluzione industriale, minor importanza dell'agricoltura, crescita della ricchezza mobiliare; tutto è passato come acqua sulla pietra, non solo a Firenze. Una decente tassazione degli immobili sarebbe, più che opportuna, necessaria, ma non è per adesso. Peccato, sarebbe “abilitante” di una buona legge sulla concorrenza.

Sul tema, resta da dire del crescente entusiasmo per le “operazioni di sistema”. Il termine fu usato dal presidente di Banca Intesa, Giovanni Bazoli, per presentare la fusione con il San Paolo di Torino, effettivamente la più riuscita aggregazione bancaria, anche per il modico prezzo d'acquisto dell'allora miglior banca italiana.

Ora è un fiorire di "operazioni di sistema”, di moda quasi quanto la sostenibilità. Da ultimo le auspica sul Sole 24 Ore Carlo Bonomi, presidente di Confindustria, le persegue Carlo Cimbri, capo di Unipol.

Il continuo richiamo al sistema preoccupa. A parte il fatto che alcuni “sistemisti” sdegnano l'Italia vivendo all'estero, così si dà ragione a chi incolpa di tutto il sistema, quasi esso avesse un indirizzo e un Consiglio di Amministrazione che ci manovra a piacere.

L'insistenza, poi, puzza a volte di sacrestia, altre di loggia, spesso di consorteria che finge di curare l'interesse collettivo; il sistema, insomma, degli affari nostri. A Draghi spetta un compito erculeo, e se di Ercole non avesse il fisico, potrebbe supplire il coraggio; ha mostrato che i rischi sa calcolarli.

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