Forse è già finita la velocissima stagione di Giuseppe Conte come leader politico. È stato molto popolare al governo, a tratti brillante, soprattutto nel secondo esecutivo dell’alleanza tra Cinque Stelle e Pd e per come si è dimostrato rassicurante ai primi tempi della pandemia.

Aveva un buon rapporto con l’Europa ed è riuscito a ottenere il clamoroso finanziamento di 200 miliardi. Purtroppo un attimo dopo è crollato per l’incapacità di tenere insieme gli alleati.

Se come presidente del Consiglio è stato abile, è stato un disastro come capo politico. In poco più di nove mesi è riuscito nell’impresa di far perdere altri punti ai pentastellati, che speravano invece di essere rinvigoriti dalla sua popolarità.

Ad agosto del 2021, la media dei sondaggi dava il M5s intorno al 16 per cento. Se si votasse oggi, farebbe fatica a raccogliere il 13 per cento. D’altronde, Conte ha nemici ovunque, anche all’interno del movimento. Con Draghi ormai i rapporti sono sempre più tesi, qualunque sia il tema sul tavolo.

A Porta a Porta, ha ribadito che non è sua intenzione far cadere il governo, ma che intende comunque mettergli i bastoni tra le ruote.

Le elezioni si avvicinano e non si vedono nascere progetti per il futuro, a parte la riforma della legge elettorale, al momento idea assurda, visto che non c’è né il tempo né la volontà politica. Giuseppe Conte sembra più che altro ossessionato dalle vendette personali.

Oltre a trascinare il Movimento nel suo odio personale per l’ex capo della Bce, non disdegna critiche nemmeno per il presidente Sergio Mattarella.

Se la prende con Matteo Renzi, colpevole di aver aperto la porta a Draghi, e all’interno del partito con Luigi Di Maio, troppo fedele al governo. In realtà il vendicativo Conte sbaglia obiettivi: se il movimento è al tramonto, se la deve prendere solo con se stesso.

A destra, la confusione regna sovrana. Berlusconi latita mentre la Lega è in caduta libera e in costante guerra con Fratelli d’Italia. Sulle amministrative è un tutti contro tutti. Sarebbe il momento perfetto per solidificare il rapporto tra Pd e Cinque stelle.

Conte invece preferisce scontrarsi anche con Enrico Letta e ogni tanto sembra capirsi meglio con Matteo Salvini. Come ha fatto notare in un’intervista su Repubblica il sindaco di Firenze Dario Nardella, è impossibile allearsi senza un’intesa su politica estera, giustizia sociale e diritti civili.

Il Partito democratico lancia ami su ami per trovare un’intesa con Conte, ma ogni volta si vede tornare indietro un secco no.  Certo, se il leader fosse Di Maio, tutto sarebbe più facile.

Beppe Grillo è stato un profeta. Nell’ennesima guerra interna che ha preceduto la presidenza del professore, aveva dichiarato: «Conte non ha visione politica né capacità manageriali». Una previsione perfetta che annunciava il fallimento di Conte come leader.

Non ci si può improvvisare capo politico da un giorno all’altro, e l’attività accademica non è una palestra sufficiente. Grillo, che invece qualcosa di leadership ne sa, l’aveva capito. D’altra parte, insieme a Gianroberto Casaleggio, aveva creato una macchina perfetta per coinvolgere milioni di persone e posizionarsi a primo partito.

Oggi, i pentastellati faticano persino a presentare le liste per le amministrative in mancanza di candidati. Il figlio di Gianroberto pensa alla nascita di un nuovo Movimento. In realtà, per far rivivere quello “vecchio”, basterebbe che Conte tornasse a Firenze alla sua carriera universitaria da professore di diritto.

© Riproduzione riservata