Quando è nato il governo Lega-Cinque stelle, nel 2018, i due partiti hanno scelto la formula di un “contratto” per regolare quella che doveva essere una cooperazione ma non un’alleanza politica tradizionale. Come tutti i contratti era incompleto, non stabiliva per esempio come gestire i migranti soccorsi in mare dalle Ong, ma rendeva esplicito che la Lega si impegnava ad adottare alcune misure prioritarie per i Cinque stelle i quali, a loro volta, appoggiavano alcune richieste della Lega.

Per un po’ ha funzionato, soprattutto quando si trattava di spendere a debito, ma è evaporato quando le logiche dell’ambizione hanno prevalso su quelle della cooperazione. Poiché non era un vero contratto tutelato dalla legge ma un patto tra gentiluomini, quando Matteo Salvini ha voluto “pieni poteri” lo ha stracciato, anche se i Cinque stelle continuavano a rispettarlo al punto da votare perfino il Tav Tav Torino-Lione.

Un contratto, insomma, non cementa una coalizione eterogenea. Ma sancisce il principio che la trattativa quotidiana del governare avviene tra interessi ed identità contrapposte, che cercano un punto di sintesi: anche nell’acquisto di una casa venditore e compratore hanno esigenze opposte (uno tira il prezzo al rialzo, l’altro al ribasso) ma anche l’interesse ad accordarsi.

Quell’esperimento non ha funzionato bene, quello successivo tra Pd e Cinque stelle è stato dunque il tentativo di tornare alla tradizionale alleanza politica, al punto che i vertici del Pd avevano addirittura indicato Giuseppe Conte come «punto di riferimento di tutte le forze progressiste».

Oggi si assiste a un’ulteriore involuzione: il Pd celebra la conversione di Matteo Salvini all’europeismo, Matteo Renzi si felicita che tutti siano venuti sulle sue posizioni, Forza Italia è convinta che finalmente i moderati abbiano prevalso, i Cinque stelle sono confusi ma comunque in maggioranza.

Questa situazione è molto pericolosa, perché se gli elettori non sono in grado di identificare il contributo dei vari partiti alla coalizione, nel momento (remoto) del voto potranno scegliere soltanto tra il sistema e l’anti-sistema, cioè chi sta con Mario Draghi  e chi con Giorgia Meloni. Ma c’è un’alternativa: indicare da subito quali sono i compromessi minimi da accettare e quali le linee da non oltrepassare.

Il Pd non potrebbe mai accettare nuovi decreti Salvini sull’immigrazione, dopo averli appena ammorbiditi, i Cinque stelle non dovrebbero acconsentire a indebolire la protezione sociale durante una crisi economica (sono le politiche attive che non funzionano). Entrambi dovrebbero escludere dall’agenda del governo Draghi scudi fiscali e sperperi del genere di quota 100.

Abbracciare Salvini, tuttora imputato per sequestro di persona di migranti disperati e al centro di vari processi per le finanze della Lega, con l’entusiasmo riservato al figliol prodigo non verrà perdonato dagli elettori di centrosinistra. Soprattutto in assenza di impegni precisi da parte sua a sostenere quello che gli elettori di di Pd e Cinque stelle, se non i loro eletti, considerano importante.

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