Il 26 maggio un primario istituto di sondaggio tedesco, l’Insa, pubblicava i dati sulle intenzioni di voto dei cittadini della regione Sassonia-Anhalt, dove si sarebbe votato il 6 giugno. Le previsioni erano terribilmente fosche per il partito di Angela Merkel, la Cdu. Secondo l’Insa, infatti la Cdu  avrebbe ottenuto solo il 25 per cento e sarebbe stata superata dall’estrema destra dell’Afd.

La politica berlinese ha trattenuto il fiato per 10 giorni temendo l’onda nera e la disgregazione dei cristiano-democratici. Invece, la Cdu ha trionfato con il 36 per cento, distanziando di 13 punti l’avversario di destra, e ha tenuto lontani anche i Verdi che continuano a non sfondare all’Est.

Nel quartier generale del partito, il discusso candidato alla cancelleria, Armin Laschet, ha festeggiato lo scampato pericolo. Quello che conta, infatti, non è tanto e solo il risultato, quanto il suo scarto rispetto alle prospettive. Visto che prevaleva una atmosfera da disastro, una vittoria anche di stretta misura sarebbe stata vista come un successo: figurarsi una affermazione così larga.

I sondaggi influenzano in maniera profonda la politica. Certamente costituiscono uno strumento utile per conoscere gli umori dell’opinione pubblica, ma non forniscono (più) un quadro attendibile dell’esito finale delle elezioni.

Gli analisti continuano a ripeterlo ogni volta, e mettono in guardia da una eccessiva fiducia sulla corrispondenza tra previsioni e  risultati effettivi, ma i mass media ci marciano sopra baldanzosi. 

Di conseguenza, lo spostamento di uno zero virgola nelle intenzioni di voto conquista i titoli di apertura.  Eppure, abbiamo visto come nelle ultime elezioni italiane, quanto meno dal 2013 in poi, i risultati si sono distanziati clamorosamente da quanto era stato generalmente previsto.

Politici e operatori dei media farebbero bene a smettere di compulsare ossessivamente gli ultimi sondaggi e semmai guardare agli umori dei cittadini che emergono dalle ricerche demoscopiche.

Se, per esempio, si fosse prestato attenzione a quelle analisi che nei primi anni del decennio 2010 mostravano che gli italiani volevano un cambiamento “rivoluzionario” piuttosto che un percorso di riforme, non sarebbe stata una sorpresa il successo dei Cinque stelle.

Più che guardare alle minime oscillazione delle preferenze partitiche è utile cercare di individuare quali sono le priorità e le aspettative, le paure e le speranze degli italiani.

I partiti, chi più chi meno, hanno perso contatto con l’opinione pubblica  nei territori perché hanno abbandonato al loro destino le strutture locali, rintanandosi al centro e affidandosi solo alla comunicazione elettronica, senza contatti diretti e personali in loco.

Questa separatezza li rende ciechi e sordi rispetto a quanto fermenta nella società. Almeno potrebbero profittare di chi scandaglia professionalmente il ventre profondo del paese.

Il partito che coglie i sentimenti prevalenti, grazie anche alle ricerche condotte da istituti di ricerca ed equipe accademiche, ottiene una posizione di vantaggio rispetto agli altri.

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