L’ipotesi di sospendere i brevetti necessari a realizzare il vaccino anti Covid ha sollevato reazioni eccessive su entrambi i fronti. Primo perché la trattativa in sede Wto, l’organizzazione mondiale del commercio, può richiedere mesi, nonostante l’apertura degli Stati Uniti di Joe Biden (e la contrarietà di Angela Merkel). Gli entusiasti dicono: finalmente i paesi poveri, che chiedevano questa moratoria sulla proprietà intellettuale, potranno avere vaccini in quantità. Ma nel medio periodo non succederà. 

A partire dagli anni Ottanta c’è stato un analogo dibattito sui farmaci antiretrovirali per combattere l’Aids: un trattamento annuale salva-vita costava a un paziente americano tra i 10 e i 15mila dollari, ma milioni di persone contagiate nell’Africa sub sahariana avevano un reddito annuo sotto i 500 dollari. All’epoca c’era una soluzione semplice: produrre la versione generica dei farmaci protetti da brevetto poteva abbattere il costo per il paziente tra il 50 e il 90 per cento. Le compagnie farmaceutiche però temevano importazioni parallele (che i farmaci economici destinati al mercato africano venissero rivenduti in quello occidentale) e che una riduzione dei profitti attesi avrebbe reso vani gli altissimi costi di ricerca e sviluppo.

La situazione del Covid è diversa: non ci sono vaccini “generici” disponibili. Se fosse soltanto un problema di costo della proprietà intellettuale, paesi relativamente ricchi come Italia o Francia avrebbero pagato o strapagato le licenze pur di produrre tutto il necessario. Perché la principale tecnologia anti Covid – quella a mRna – è recente e difficile da padroneggiare. Inoltre ci sono ci sono complesse catene di fornitura di materiali e processi, oltre che di personale. A ottobre Moderna ha promesso un accesso agevolato alla sua tecnologia, ma pare che non sia servito a molto.

Per avere più vaccini, bisogna che chi è in grado di farlo aumenti la capacità produttiva. Costruire da zero filiere dove non ci sono rischia di essere un enorme spreco di tempo e risorse. Proprio per questo la comunità internazionale aveva lanciato il programma Covax  per comprare vaccini da distribuire nei paesi in via di sviluppo, con l’obiettivo di vaccinare un miliardo di persone entro il 2021. Per ora siamo soltanto a 49 milioni di dosi.

L’eventuale sospensione della proprietà intellettuale intorno al Covid servirebbe quindi a poco nell’immediato, ma è un segnale da parte di Biden di apertura verso un approccio multilaterale alla crisi.

Ci saranno le conseguenze negative che le case farmaceutiche paventano? Assolutamente no. La ricerca per il vaccino Covid non ha seguito la normale trafila che prevede anni di tentativi, altri di test, la richiesta del brevetto e poi l’autorizzazione alla commercializzazione. Con il brevetto che garantisce per qualche anno un monopolio sulla scoperta così da ottenere extra-profitti che remunerino i costi e il rischio d’impresa.

Nel caso del Covid questo schema non si è applicato: già a luglio 2020, per esempio, gli Stati Uniti hanno prenotato 100 milioni di dosi da Pfizer ben prima che il vaccino esistesse e fosse approvato dai regolatori. Nel frattempo, con il programma Warp Speed, ha sussidiato tutta la filiera di produzione e distribuzione. Pfizer/BioNTech hanno avuto 6 miliardi, idem moderna, Johnson & Johnson 1,5, Sanofi (che non ha un vaccino pronto) 2, Novavax 1,6. Tutto questo ha permesso di avere un faccino in un anno invece che in dieci.

Quindi le case farmaceutiche hanno fatto investimenti sussidiati e con la garanzia della domanda a valle del processo. Inoltre, secondo le stime circolate in questi mesi, Pfizer ha margini del 25-30 per cento su ogni dose che vende. In concorrenza perfetta le imprese fissano un prezzo uguale al costo marginale, in monopolio riducono le quantità fornite e vendono a un prezzo il più vicino possibile al ricavo marginale (vendere più dosi farebbe scendere il prezzo e il profitto totale).  

Quindi, anche se si fissasse il precedente che dopo le pandemia c’è una moratoria sulla proprietà intellettuale, comunque gli azionisti delle società farmaceutiche potrebbero essere tranquilli: il “modello Covid” si è rivelato molto redditizio. Sospendere i brevetti comunque ridurrebbe le frizioni nel settore e almeno potenzialmente aumenterebbe la capacità produttiva, dunque nel medio periodo dovrebbe far scendere i prezzi. Per questo le case farmaceutiche protestano. Preferirebbero di gran lunga i sussidi sul modello Warp Speed: dopo aver vaccinato l’Occidente, vendere ai paesi ricchi dosi a prezzo pieno perché questi poi le regalino ai paesi poveri. Ma questo, ovviamente, sarebbe inaccettabile. E il segnale di Biden serve a ribadirlo.

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