L’Ue è in balìa dei sovranisti, quelle pedine perfette per Trump

C’è un filo rosso, a tratti ben nascosto, che collega la politica estera di Trump alle decisioni dell’Unione europea. Il presidente americano può contare, al contrario di ciò che la retorica prevalente sostiene, su sempre più numerosi appoggi anche dentro l’equilibrio europeo. Tra le principali leve americane continua ad esserci il governo italiano. Il copione illiberale di Orbán e Meloni, dalla presa dei media alla costruzione del nemico Le mosse di Meloni Tanto che proprio sui tavoli internazionali Giorgia Meloni si muove con maggiore abilità. La premier continua a camminare sul filo che separa Stati Uniti ed Unione europea per ora senza particolari contraccolpi e con un peso politico crescente. Nella trattativa sugli asset russi Meloni sembra aver trovato un ruolo di moderatrice capace di unire una coalizione che va da Sanchez ad Orbán al fine di ricorrere al debito comune per sostenere Kiev. La premier punta sempre in modo primario sul rapporto con gli americani: in pubblico ripete che l’alleanza euroatlantica è inscindibile e che il piano di Trump per l’Ucraina è l’unico credibile. Già questa è una posizione più avanzata rispetto agli altri paesi europei, a cui si aggiungono i fatti. Meloni resta con un passo indietro su tutte le questioni militari, si è sempre sfilata dalla prima fila della coalizione dei volenterosi che è vissuta da Trump con insofferenza perché potenzialmente d’impaccio alla trattativa con Putin. Anche sugli asset russi la partita della premier è stata cauta ma ferma. Contraria all’utilizzo diretto di quelle risorse, come avrebbero voluto i paesi nordici, è divenuta uno degli artefici principali di un accordo che costruirà un debito comune per sostenere l’Ucraina, mostrando come i sovranisti possano per paradosso diventare vettori di maggiore integrazione europea. È la cifra del pragmatismo dei nuovi attori della destra europea, molto meno ideologici di come vengono solitamente descritti e pronti a sposare una logica puramente negoziale in politica estera. L’accordo sul finanziamento dell’Ucraina può essere letto, per molti aspetti, come una mediazione in cui gioca un ruolo anche la Casa Bianca. Un utilizzo diretto, oltre ad aver posto problemi giuridici e finanziari per il Belgio, avrebbe indisposto ulteriormente Putin creando una grana al presidente americano, che continua ad offrire un piano di pace molto appetibile per il Cremlino. Qui entrano in gioco i vari alleati di destra del tycoon – Meloni, Orbán, Fico, Babis – pronti ad accomodare la posizione meno ostile a Trump oltre che, in questo caso, quella più sostenibile sul piano politico ed economico e che sul piano diplomatico non rescinde completamente la possibilità di riprendere i rapporti con Mosca in futuro. Equilibri cambiati Con i grandi paesi – Francia e Germania – più deboli politicamente e con i paesi del nord-est pressati dall’impellenza di una politica di sicurezza più assertiva, la “fila trumpiana” dei governi nazional-populisti in Europa può giocare un ruolo molto più rilevante rispetto al passato, come la trattativa saltata sull’impiego degli asset russi dimostra. Ciò conduce anche alla produzione di effetti inaspettati. Da un lato può generare dinamiche di integrazione, come l’emissione di debito comune per questioni di sicurezza, che di fatto sono gradite, o comunque non disprezzate, dal governo americano perché emancipano in parte l’Ue dalla difesa americana; dall’altro possono produrre dei ribaltamenti di programmi che sembravano destinati a svilupparsi nel lungo periodo, come i sostanziali cambiamenti apportati al green deal che ne smussano e rallentano gli effetti. Ciò che è sempre più evidente è la dissoluzione del metodo con cui è stata interpretata la politica europea negli ultimi anni, ovvero quella della netta separazione tra euroscettici ed europeisti. In Europa c’è oramai una nuova dinamica del potere in cui interessi nazionali, alleanze internazionali, esigenze di sicurezza interagiscono in maniera meno schematica e più imprevedibile rispetto alle divisioni ideologiche. È una Unione europea più transattiva, in cui la politica di Trump e le guerre agiscono da “acceleratore di particelle”, la cui miscela produce risultati paradossali e non sempre negativi. È un nuovo scenario in cui i leader europei post-trumpiani sembrano trovarsi maggiormente a loro agio rispetto a quelli di tradizione moderata. Marion Maréchal: «C’è già una maggioranza Giorgia». Il reset trumpiano dell’Ue