Alle immagini del massacro di Bucha, l’Unione europea risponde con un nuovo pacchetto di sanzioni che non colpisce le principali fonti di introiti per la Russia, cioè gas e petrolio, ma si limita a intervenire sul carbone. Per dare un ordine di grandezza, le esportazioni di carbone russo verso l’Ue valgono 4 miliardi all’anno, quelle di gas e petrolio quasi 120 miliardi.

«Stiamo lavorando ad altre sanzioni, incluse quelle sulle importazioni di petrolio», ha detto la presidente della Commissione europea, Ursula von der Leyen. Tra le ipotesi in discussione ci sono anche quelle di pagare le importazioni energetiche su conti vincolati ai quali la Russia potrebbe accedere soltanto a guerra finita, o comunque dopo un accordo con l’Ue.

Queste ipotesi sembrano confermare la scelta annunciata da vari paesi, Italia inclusa, di non aderire alla richiesta di pagamento del gas in rubli su conti Gazprombank, come previsto da un decreto annunciato dal presidente russo Vladimir Putin nei giorni scorsi.  

Le sanzioni sul carbone – e su altri settori, come quello della chimica – indicano che nell’Ue non c’è ancora il consenso per azioni davvero drastiche che potrebbero interrompere o almeno ridurre il flusso di denaro (tra i 350 e i 500 milioni di dollari al giorno) che serve a Putin per finanziare l’invasione dell’Ucraina.

Però, come sottolineano fonti europee, quelle in arrivo sono anche le prime sanzioni che colpiscono il settore energetico, quasi un ultimo avvertimento a Putin prima di arrivare a petrolio e gas.

Con l’arrivo della primavera, almeno un poco la domanda europea di gas dovrebbe ridursi (scende la richiesta per riscaldamento domestico), ma nessun paese al momento è in grado di programmare l’autunno 2022 senza il gas russo.

Il prezzo internazionale del carbone (nel mercato dei futures) ha reagito con un rialzo del 12 per cento alle notizie sulle sanzioni anti-russe, ma resta comunque molto lontano dal picco toccato nei giorni di massima incertezza all’indomani dell’invasione. I mercati sembrano continuare a prezzare l’arrivo di nuove sanzioni anche sul petrolio, visto che la differenza tra quanto viene valutato il petrolio russo e quello di altra origine (Brent) continua ad allargarsi: prima della guerra era intorno ai 2 dollari, ora ha superato i 32 dollari.

Segno che comprare petrolio russo è diventato un investimento rischioso: alto rendimento se l’Ue non segue gli Stati Uniti nell’embargo, ma se invece arrivassero le sanzioni gli acquirenti potrebbero venderlo quasi soltanto alla Cina.

La guerra finanziaria

A guardare i mercati finanziari, si vede meglio la dimensione globale del conflitto in Ucraina e perché tra i protagonisti ci sono gli Stati Uniti. L’andamento dei prezzi delle materie prime energetiche, combinato con gli effetti delle politiche anti-Covid e di quindici anni di politica monetaria espansiva, ha spinto l’inflazione a livelli che ormai sembrano fuori controllo.

Nell’area Ocse, quella dei paesi industrializzati, la crescita dei prezzi al consumo è ormai del 7,7 per cento annuo, da confrontare con l’1,7 per cento di un anno fa.

Le banche centrali, a cominciare dalla Federal Reserve e dalla Bce, devono decidere se e quanto iniziare una politica restrittiva, con la fine degli acquisti di titoli di Stato e l’aumento dei tassi di interesse. E’ bastata una dichiarazione di Lael Brainard, una dei governatori della Federal Reserve, a terremotare i mercati obbligazionari: la Fed inizierà una “rapida” riduzione del proprio bilancio, basta acquisti dei titoli e niente rifinanziamento di quelli in scadenza.

I paesi avversari della Russia si trovano a dover scegliere tra soffocare la ripresa con aumenti di tassi di interesse, che però non fermeranno l’inflazione che è spinta dalla guerra che gonfia le quotazioni di gas e petrolio, oppure lasciar correre i prezzi per non frenare le proprie economie in un momento così delicato.

In entrambi i casi il tempo gioca a favore di Putin, perché più il conflitto tiene alti i prezzi di gas e petrolio, maggiore la probabilità che Stati Uniti e Ue si trovino ad affrontare insieme guerra, recessione, inflazione e possibile recrudescenza della pandemia.

Ormai è una guerra di resistenza, con gli Stati Uniti che hanno adottato altre misure per complicare il rimborso del debito russo in dollari.

Non è ben chiaro quale sia l’esito auspicato di questo stallo, visto che le sanzioni occidentali colpiscono la popolazione russa, oltre agli oligarchi, ma non si vede alcuna avvisaglia di rivolte dal basso contro Putin il quale, a sua volta, non sembra intimorito dalle ritorsioni occidentali.

Uno stallo che potrebbe finire soltanto quando la guerra finanziaria si sposterà su gas e petrolio.

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