Se Giorgia Meloni e i suoi Fratelli d’Italia andranno al governo, peraltro come prima forza politica, sarebbe interessante conoscere il loro pensiero ufficiale sulla strage di Bologna. Se Meloni diventerà presidente del consiglio andrà il 2 agosto a commemorare le 85 vittime della strage «fascista»?

Nella destra italiana la strage di Bologna compatta ranghi estremi e istituzionali, sigle fuori dal parlamento e dentro il palazzo. I fascisti dichiarati di Forza Nuova la pensano esattamente come larga parte dei parlamentari di Fratelli d’Italia: non è una strage nera, è necessario indagare sulla fantomatica pista internazionale.

Nel partito di Meloni, così come in Casapound e in altri movimenti neri extraparlamentari, non accettano le condanne ai neofascisti. Non riconoscono le sentenze definitive di condanna dei camerati, con i quali alcuni di Fratelli d’Italia hanno condiviso il percorso politico nel Fronte della Gioventù, finché gli altri non hanno scelto la lotta armata.

«A oltre 40 anni dalla strage di Bologna, tra ombre e depistaggi, continuiamo a ricordare tutte le vittime e a chiedere verità e giustizia. Lo dobbiamo alla loro memoria e ai loro cari», scriveva Meloni il 2 agosto dell’anno scorso. Lo stesso anno un suo fedelissimo, il deputato Federico Mollicone, sosteneva la necessità di una commissione di inchiesta per accertare la verità. Quale verità? Secondo il fondatore del intergruppo parlamentare “La verità oltre il segreto” è scandagliando la pista internazionale che è possibile accertare fino in fondo la genesi dell’attentato.

Le sentenze, i fascisti

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Meloni, Mollicone e i Fratelli d’Italia fingono che non esista una verità giudiziaria e anche storica ormai su Bologna. Sull’attentato del 2 agosto 1980 la giustizia è finalmente arrivata a una verità condivisa dalla maggioranza: gli esecutori condannati sono cinque, tutti espressione del neofascismo eversivo, staccatosi dalla quello istituzionale e coltivato da apparati dello stato con l’obiettivo di usarlo come arma di destabilizzazione del paese.

Francesca Mambro, Giusva Fioravanti, Luigi Ciavardini, Gilberto Cavallini e Paolo Bellini. Per i primi tre, tutti capi e militanti dei Nuclei armati rivoluzionari, la sentenza è definitiva da tempo, sono già liberi nonostante gli ergastoli. Cavallini, invece, è solo al primo grado. Così come Bellini, l’ultimo dei condannati in ordine di tempo (aprile 2022) in un processo che ha esplorato il pianeta dei mandanti e finanziatori occulti.

Questi ultimi secondo l’accusa e i giudici di primo grado rispondono al nome di Licio Gelli e Umberto Ortolani, mentre Federico Umberto D’Amato, all’epoca a capo dell’ufficio affari riservati del Viminale, nella ricostruzione dei magistrati bolognesi è stato il mandante organizzatore.

I tre sono deceduti da tempo. Con Bellini tuttavia sono stati condannati per aver svolto un ruolo nei depistaggi e nel fornire false informazioni un ex agente dei servizi e un ex carabiniere. Dunque conosciamo gli autori materiali, cioè chi ha piazzato l’esplosivo che ha massacrato 85 persone, incluso bambini. E pure il volto dei mandanti e dei finanziatori dei neofascisti comincia a emergere dall’oscurità durata 42 anni.

Sulla lapide dedicata al ricordo della strage della stazione la matrice della strage è definita in maniera netta: «Vittime del terrorismo fascista». Negli anni non pochi parlamentari del centrodestra hanno tentato blitz e manovre per cancellare quel marchio nero dalla bomba del 2 agosto. C’è chi continua a farlo, nel disperato tentativo di addossare ad altri l’eccidio. Meloni sarà in grado di prendere atto di questa impronta nera sull’attentato?

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