Chissà perché il recente incontro di Beppe Grillo con l’ambasciatore cinese ha suscitato ondate di indignazione che hanno riempito le prime pagine dei giornali mentre quello di ieri di Matteo Salvini viene ignorato dai grandi media con appena qualche notarella di poche righe.

Come mai due identiche azioni sono state giudicate con metri così diversi? Eppure, la Cina, nel frattempo, non ha amnistiato i manifestanti di Hong Kong, né allentato la morsa sugli Uiguri.

Il difforme trattamento dei due incontri fornisce una cartina di tornasole della diversa “collocazione” dei due partiti nel sistema di riferimento socio-economico e culturale della classe dirigente italiana, di cui fa parte anche il mondo dell’informazione.

Le oscillazioni della Lega

LaPresse

La Lega è un partito potente perché ha in mano le leve politico-economiche delle regioni del nord. Muove interessi – fondi, posti, appalti – nelle zone più ricche del paese: mettersi di traverso a loro può essere costoso.

La presenza ramificata del partito e, in alcune aree, il suo pervasivo controllo sociale hanno consentito alla Lega di mettere in atto una serie di contromisure quando Matteo Salvini, nell’estate 2020, ha “sbroccato”, come si dice a Roma, andando giù forte di mojito ed è stato messo alla porta da Giuseppe Conte, per questo allora sommerso di applausi da tutto il mondo (sic transit gloria mundi…).

Per rimediare all’estromissione dal governo sono cominciate manovre di ridefinizione simbolica della constituency del partito, affidate ad accorti ambasciatori (Giancarlo Giorgietti): al mondo arrabbiato e frustato dei social e delle piazze, è stato lentamente sostituito quello più silente ma più corposo degli interessi economici.

Ecco che è stata coltivata ed enfatizzata l’immagine della Lega dei governatori pragmatici, vicini al mondo produttivo e contrari all’uscita dall’euro.

Peccato che fino al giorno prima non fosse volata una mosca contro le intemerate del duo eurofobico Borghi-Bagnai.

Ma se le scampanellate salviniane nei quartieri periferici di Bologna appartengono al passato, non lo è la continua, martellante campagna anti vax. A nome di chi parla, allora, Salvini?

Per conto di coloro che vogliono luoghi di studio e di lavoro protetti come la gran pare degli industriali, per una volta più saggi dei sindacalisti landiniani, o di trerrapiattisti e complottardi che straparlano di dittature sanitarie?

Queste contraddizioni sembrano però passare come acqua fresca sulla Lega proprio perché il suo sistema di potere non viene intaccato dagli strepiti antiimmigrati o dal vellicamento dei No-vax; atteggiamento, quest’ultimo, in piena continuità con il forsennato sponsor della destra nostalgica al farlocco “metodo Di Bella” contro il cancro, alla fine degli anni Novanta.

La classe dirigente del paese soprassiede alle polemiche truci del leader leghista – come faceva in passato con Umberto Bossi – perché, attraverso vari rivoli, fa parte dello stesso sistema di potere.

La differenza del Movimento

Claudio Peri/LaPresse/POOL Ansa ANSA/CLAUDIO PERI

Il Movimento 5 stelle ha un’altra origine e un altro sviluppo, e ciò lo rende molto più esposto ai venti delle critiche. Il M5s è emerso dal nulla, senza contatti organici con componenti “solide” della società. Si è sviluppato come un tipico movimento sociale a seguito di un leader simil-carismatico e ha usato la rete per “indentificarsi” e crescere.

Ha rappresentato aspirazioni frustrate di giovani esclusi dal lavoro nonostante i loro studi e masse indistinte che si sentivano emarginate e quindi odiavano l’establishment e il sistema, poveri in cerca di un appiglio – il reddito di cittadinanza – e in cerca di un nuovo inizio.

Questo impasto è montato nel 2018 fino a livelli imprevedibili grazie anche a condizioni peculiari come il suicidio politico del Pd renziano, ma una volta approdato al governo ha mostrato le sue debolezze. Soprattutto, è rimasto solo: non ha attecchito presso nessun gruppo sociale, nemmeno nelle due grandi città dove ha governato.

Contrariamente alla Lega, il M5s non ha un retroterra di interessi e di potere: la classe dirigente italiana, dopo averlo annusato prima delle elezioni del 2018, si è ritirata dopo la sarabanda della formazione del primo governo Conte, quando il duo Di Maio-Di Battista chiese l’impeachment per il presidente della repubblica.

Anche il martellamento a cui è stato sottoposto Giuseppe Conte è indicativo della “solitudine sociale” dei pentastellati. Senza un radicamento nella società i consensi si volatilizzano facilmente, mentre chi dispone di un solido retroterra può reggere alle crisi e gli si perdonano facilmente gli sbandamenti. È per questo che il futuro del M5s appare incerto.

I suoi voti rischiano di trasmigrare verso altri soggetti anti establishment, ma questa volta con connotazioni più inquietanti, come quelle di Giorgia Meloni.

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