Niente è più sconcertante della dichiarazione attribuita Josep Borrell, secondo cui «Noi non possiamo essere i mediatori, questo è chiaro, e non possono farlo nemmeno gli Stati Uniti. Chi altro? Soltanto la Cina. Ho fiducia in questa soluzione». Ma come!

Una così radicale assenza, proprio nella mente dell’Alto Rappresentante per la politica estera e di sicurezza dell’Ue  della nozione di cosa sia l’Unione europea è un colpo di mortaio sulle nostre speranze (se la dichiarazione è stata riportata correttamente).

Per fortuna glielo ha spiegato Gianfranco Pasquino perché la sua posizione è assurda. «Negoziare con la Russia… è compito esclusivo e urgente dell’Unione europea». Pasquino è chiarissimo: «Le due autorità che hanno l’obbligo politico ed  etico di attivarsi sono la Presidente della Commissione… e l’Alto Rappresentante».

Ecco, una tale cecità nei confronti di quella teoria politica normativa su cui si regge il progetto istituzionale – e di cui cantano le carte – dell’Unione europea: no, non la si crederebbe possibile.

Perché la teoria politica che ispira la costituzione dell’Ue è ostile non alla storia ma al determinismo storico, non al realismo ma alla Realpolitik, non all’autonomia della politica ma alla sua  liberazione dal vincolo etico, e soprattutto dal vincolo istituzionale: che fa dell’Ue un edificio per tutte le nazioni europee, tanto diverse per storia e cultura, e non uno stato nazionale con i suoi  monolitici interessi di potenza, come la Cina, o come la declinante America, un tempo polo ideologico antisovietico dentro l’Alleanza Atlantica. E l’Ucraina non è un pezzo d’anima europea, prima di tutto? E forse, dirò di più, non lo è la Russia?

Non c’è per la Russia un futuro concepibile, oltre l’orrore putiniano? C’è: ma solo se ci sarà una sponda europea a sostenere la sua possibile, futura democrazia. Era questo, il sogno assassinato di Michail Gorbaciov.

Certo, qui non è più Pasquino che parla, ma la speranza degli europei. Dobbiamo rinunciare all’enorme opportunità offerta all’Unione europea di diventare un ponte verso una Russia post-putiniana? Che sarà di nuovo drammaticamente oscillante fra la tentazione del nazionalismo grande-russo e l’amore sempre rifiutato per l’Occidente. Rifiutato finora per molte e comprensibili ragioni, ma perciò, anche, degenerato dopo lo scioglimento dell’Unione Sovietica nel patto di rapina e omertà fra Putin e gli oligarchi. Degenerato nelle abbuffate di MacDonald e Coca Cola e delle decine di marchi simbolici della vita grassa e felice, quelli delle multinazionali che ora stanno abbandonando Mosca.

Se Putin non vince, se il mondo non sprofonda nella catastrofe, di nuovo dopo Putin la Russia si troverà al bivio. Eppure il modo per l’Europa dopo Putin di prosciugare il mare di risentimento da cui nascono i Putin sarebbe già segnato. Con le linee guida dell’implementazione del disegno federale europeo che questa crisi potrebbe favorire.

Il completamento dell’embrione di politica economica e unione fiscale, già indotto dalla risposta alla pandemia, senza consolidare il quale non reggiamo la politica delle sanzioni, ma che può anche diventare la leva di nuovi accordi economici e commerciali.  

Una decente normativa per tutti i profughi e i migranti, quindi la revisione degli accordi di Dublino e la responsabilizzazione di tutti i paesi dell’Unione nel promuovere non solo accoglienza, ma politiche di integrazione. E infine la creazione della difesa comune europea, che significa politica estera europea ed embrione di vera statualità federale.

Purché si sia capaci di suscitare Alti Rappresentanti, o insomma ministri degli Esteri, che capiscano il senso del loro mestiere..

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