Nel 2015, mentre infuriava la guerra civile in Siria, il cadavere del piccolo Alan Kurdi, raccolto da braccia pietose sulla costa turca, aveva smosso le coscienze e portato Angela Merkel, in un inusuale slancio di generosità,  ad aprire le porte della Germania alla massa dei  profughi che vagava nei Balcani.

Oggi la morte di un bambino alla frontiera tra Bielorussia a Polonia ha lasciato indifferenti. Se non stupisce più di tanto la violenza della polizia polacca che innaffia con gli idranti persone senza riparo e senza riscaldamento mettendo a rischio la loro salute, corre un vento di angoscia nel constatare l’inerzia dei paesi “democratici” e delle istituzioni comunitarie.

A migrant woman carry her child to a Belarusian doctor near a logistics center at the checkpoint "Kuznitsa" at the Belarus-Poland border near Grodno, Belarus, Wednesday, Nov. 24, 2021. The EU has accused Belarus President Alexander Lukashenko's government of orchestrating the migration surge on its eastern flank as a “hybrid attack” in retaliation for the bloc's sanctions over the crackdown by Belarusian authorities on domestic protests. Belarus denies the charge. (Andrey Pokumeiko/BelTA via AP) A migrant woman carry her child to a Belarusian doctor near a logistics center at the checkpoint "Kuznitsa" at the Belarus-Poland border near Grodno, Belarus, Wednesday, Nov. 24, 2021. The EU has accused Belarus President Alexander Lukashenko's government of orchestrating the migration surge on its eastern flank as a “hybrid attack” in retaliation for the bloc's sanctions over the crackdown by Belarusian authorities on domestic protests. Belarus denies the charge. (Andrey Pokumeiko/BelTA via AP)

L’Unione europea ha chiuso gli occhi e si è rinserrata  nella sua paura. La presidente della Commissione Ursula von der Leyen, spalleggiata da tutti i governi, si è immediatamente attivata per punire la cinica mossa del presidente bielorusso Alexander Lukashenko – e va bene – ma è rimasta immobile rispetto alla tragedia dei rifugiati. Non si è nemmeno azzardata a chiedere un atteggiamento meno feroce alla Polonia che ha prontamente schierato al confine la bellezza di 15.000 soldati, come fosse imminente una invasione.

C’è un di più di cinismo in questa vicenda. Non parliamo del comportamento del duo Lukashenko-Putin, da loro non ci può aspettare nulla, quanto piuttosto dell’Occidente che ha colto l’occasione di una colonna di disperati per rinvigorire l’opzione muscolare-militare.

In assenza di una visione comune in tema di politica estera e di difesa, non rimane che affidarsi agli eserciti. I diritti umani e il diritto d’asilo, così orgogliosamente sbandierati dall’Unione europea, sono stati trascinati nel fango di quel limes orientale.

Questi bei principi non reggono di fronte a scelte difficili come stanziare alcuni milioni per accogliere dei disperati. Preferiamo correre a blindare i confini. Allora facciamoli questi muri, basta ipocrisie. In fondo questo è il sentimento profondo che attraversa l’Europa ricca e sazia . Del resto lo confermano gli inquietanti sondaggi che vedono i candidati di estrema destra alle presidenziali francesi in costante risalita. L’auto-immagine, e anche la reputazione, dell’Europa come patria dei diritti e faro della civiltà sono incrinati.

La stessa esclusione dell’Ungheria dal forum delle democrazie organizzato da Joe Biden non può essere sottaciuta. Ci dice cha abbiamo un problema. Che stiamo perdendo il nostro soft power, quell’insieme di strumenti immateriali e simbolici che garantiscono prestigio e forza. Ed hanno quindi buon gioco i nostri avversari, dalla Russia alla Cina, via Turchia, a irriderci dopo quanto è successo sul confine polacco.

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