Sulle pagine di questo giornale, sono state ospitati numerosi interventi sulla sorte del Partito democratico. Vorrei offrire un punto di vista diverso.

Un partito progressista vero non può rinunciare ad avere dentro di sé una analisi accurata della società italiana contemporanea.

Questa analisi è un punto di partenza fondamentale per poi discutere su cosa si voglia cambiare.

Tuttavia, sembrerebbe che il problema sia sempre quello di dare voce a istanze che i vari esponenti del Pd ritengono essere le priorità del paese e di quelle che loro ritengono essere le ricette.

Ricette spesso riciclate negli anni per risolvere problemi complessi che si sono evoluti nel tempo e di cui si hanno poche informazioni aggiornate proprio perché manca un’analisi.

Quando parlo di analisi non intendo una opinione ma una analisi scientifica di un fenomeno sociale.

Come pensa il Pd

La constatazione è che le scienze sociali godono di poco uso presso le classi dirigenti progressiste del Pd anche se sono fondamentali per affrontare la complessità sociale dell’Italia contemporanea e per evitare la povertà di idee dell’area progressista.

Partiamo da un falso mito, cioè che lo statuto della conoscenza derivata da studi sociali non è abbastanza solida per poter essere utilizzata in decisioni politiche.

Mentre è, almeno dal punto di vista formale, accettato il contributo di conoscenza specialistica che le scienze naturali possono apportare alle decisioni politiche o alla soluzione di problemi, in Italia le scienze sociali non godono quasi mai di questo status.

L’unica disciplina che ha visibilità è l’economia, ma gli economisti spesso sono male interpretati o mobilitati come semplici fornitori di prestigio in supporto di una causa politica.

Inoltre, sono spesso chiamati a descrivere e analizzare fenomeni sociali che non sono riducibili unicamente ad una analisi economica.

Non è stato sempre così e nella storia delle scienze sociali italiane vi sono nomi di prima grandezza come Pareto, Mosca, Bobbio, Ferrarotti, ed altri. Sarà forse per questo che si sente parlare quasi sempre e solo di incentivi fiscali o economici.

Evidenza empirica

Spesso si cade in errori di giudizio dovuti all’ignorare quanto è stato in precedenza studiato (e spesso criticato). In altre parole, non si può stare “sulle spalle di giganti”, cercando risposte a problemi e facendo esperienza delle conoscenze sinora acquisite.

Sono pochi ormai a negare l’importanza del fare politica “evidence-based” (basata su dati empirici).

Questo non vuol dire sminuire il ruolo della politica, decisioni politiche sono e saranno necessarie. Tuttavia, dialogare con i risultati di studi e ricerche favorisce il mantenere il dibattito e la dialettica politica su una base più vicina possibile alla realtà.

L’altra funzione è di correggere errori e non cedere a pericolose tentazioni nel ragionare sui fenomeni sociali. Quante politiche pubbliche sono valutate scientificamente nella loro efficacia? 

Il Pd ha smesso di servirsi di questo patrimonio di conoscenza da anni, riciclando vecchie ricette di politiche pubbliche di cui studi scientifici hanno dimostrato la scarsa efficacia o addirittura la natura controproducente.

La natura progressista e trasformatrice della società italiana di quel partito è stata diluita da una marea di posizioni ideologiche o  identitarie, spesso in modo strumentale a carriere individuali o correntizie.

La sua capacità trasformativa può solo ritornare se avrà spazio un dibattito onesto sulle grandi sfide ed eliminando la pigrizia intellettuale.

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