Riccardo Cristello, impiegato alla ex Ilva di Taranto, è stato licenziato dalla gestione ArcelorMittal per un post Facebook sulla miniserie di Mediaset "Svegliati amore mio". La fiction racconta di una bambina che vive accanto all'acciaieria e si ammala gravemente. Cristello ha copincollato nel suo post l'ovvietà che da settimane tutti a Taranto si ripetono: con un nome di fantasia quel film parla di loro. E vi ha aggiunto l'accusa alla produzione di aver "coperto" la vera localizzazione della tragedia e un finale non del tutto continente: «In nome del profitto la vita dei bambini tarantini non conta... Assassini». ArcelorMittal lo ha licenziato ai sensi del combinato disposto degli articoli 2105, 1175 e 1375 del codice civile, che prescrivono buona fede e correttezza del dipendente verso l'azienda, in quanto quel post è "suscettibile di provocare un rilevante danno all'immagine della società".

I rapporti di lavoro

La vicenda illumina l'inselvatichimento dei rapporti di lavoro e un'idea servile della lealtà, paradossale nell'era dei social network. Se avesse scritto che l'Ilva smercia rotoli di lamiera scadente, Cristello sarebbe stato censurabile per aver divulgato un'informazione (vera o falsa, non importa) sleale verso l'azienda e resa più credibile (e quindi dannosa) dalla sua qualità di dipendente. Ma come può la frase "in nome del profitto la vita dei bambini tarantini non conta" danneggiare l'immagine dell'acciaieria? Peggio di com’è ridotta? ArcelorMittal non penserà mica che fino al post di Cristello fossimo tutti convinti che i suoi fumi facessero bene? La regola per cui il dipendente non può parlare male della propria azienda ha senso (poco) solo fino a quando è l'unico a farlo, in modo isolato ed episodico. Ma qui stiamo parlando di un impianto di rilievo nazionale di cui tutti discutono da anni. L'azienda ha avuto già due condanne definitive per inquinamento (nel 2002 e nel 2005) e nel 2012 ha visto l'arresto di tutto lo stato maggiore e la deflagrazione dell’inchiesta sfociata nel maxi processo in cui la pubblica accusa ha chiesto quasi 400 anni di carcere per la presunta associazione a delinquere degli inquinatori. Il tortuoso dibattimento dimostra che non avremo mai la prova certa che l'Ilva uccida i bambini, eppure questa idea fa ormai parte del senso comune dei tarantini, molti dei quali si battono da anni per chiudere la fabbrica dei veleni e lo scrivono ogni giorno sui social network con toni appassionati e spesso sguaiati. Quante migliaia di persone dovrebbe dunque denunciare ArcelorMittal? D'altra parte tutta l'Italia discute da anni del tragico bivio di Taranto (chiudere l'Ilva per salvare la salute o tenerla aperta per salvare il lavoro) e nessuno - se non gli azionisti dell'acciaieria - ha mai sostenuto che quei fumi non facciano male. Quindi il licenziamento di Cristello nasce da una discriminazione talmente assurda da far sospettare che sia strumentale ad altro: chi lavora all'Ilva sarebbe obbligato dal codice civile a dire che quelle ciminiere rinfrescano l'aria, mentre tutti gli altri italiani sono liberi di scrivere sui social network, e lo fanno tutti i giorni senza essere querelati, come fa questo articolo in questo momento, che l'Ilva inquina e fa venire il cancro a grandi e piccini. Questo è ormai il senso comune della nazione, sancito dal governo che da anni si svena per "ambientalizzare" l'acciaieria (o far finta). Parafrasando Humphrey Bogart, sono i social network bellezza, e ArcelorMittal non può farci niente.

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