Il Reddito di Cittadinanza (RdC) continua a dividere. Da un lato c’è chi lo vuole cancellare; dall’altro chi lo difende com’è. Lo spazio intermedio occupato da chi vorrebbe tenerlo ma riformarlo è poco frequentato.
In quello spazio intendiamo collocarci, distinguendo le critiche mosse al RdC che meritano attenzione da quelle prive di solido fondamento e mettendo in guardia dal rischio di pretendere troppo da questo strumento.

Al RdC vengono mosse soprattutto due critiche: i) non viene percepito da tutti i poveri mentre vi sono non poveri che ne beneficiano; ii) spinge i beneficiari a “crogiolarsi sul divano” anziché cercare lavoro.

Ma il RdC non è stato disegnato per contrastare la povertà assoluta, come definita dall’Istat. I requisiti per accedervi sono diversi da quelli che definiscono la povertà assoluta e non solo per dettagli, peraltro non secondari, come le scale di equivalenza; infatti, essi riguardano il reddito e il patrimonio – nonché, per i cittadini extra-comunitari, il periodo di residenza – mentre la povertà assoluta viene identificata sulla base del costo di un paniere di beni essenziali. Non può, dunque, esservi perfetta sovrapposizione fra i beneficiari del RdC e i poveri assoluti.

Dunque, non si può criticare il RdC perché non raggiunge chi non si proponeva di raggiungere. Si può, invece, chiedere che il RdC sia riformulato per riservarlo ai poveri assoluti. Tuttavia, se questa richiesta si basasse sull’idea che la povertà assoluta come definita dall’Istat corrisponde alla povertà vera si sbaglierebbe.

Chi sono i poveri?

L’identificazione dei poveri dipende sempre da giudizi di valore e da valutazioni di tipo tecnico. Un esempio: il patrimonio, anche se limitato, è compatibile con la povertà (come nella definizione di povertà assoluta) oppure non lo è (come nel RdC)?

La questione eventualmente da porre è la revisione dei requisiti del RdC in modo che ne benefici solo chi è considerato meritevole. E alcune modifiche sono senz’altro necessarie, in primis rispetto ai requisiti di residenza e alla scala di equivalenza da adottare.

Vi sono casi in cui il RdC viene assegnato a chi – povero assoluto o meno – non ne avrebbe diritto. Le cause possono essere molte: sottostime involontarie nelle dichiarazioni relative ai molti requisiti da soddisfare; opportunistiche separazioni familiari; volontarie sotto-dichiarazioni o occultamento di componenti di reddito o patrimonio.

Ciascuna di queste cause ha i suoi correttivi, facili da individuare anche se non da realizzare. Evasione e sommerso che di certo non sono nati con il RdC e non moriranno con la sua eventuale cancellazione. Eliminare il RdC perché l’evasione lo espone al rischio di “percezione indebita” è un rimedio che non elimina il male.

Venendo alla seconda critica; non è corretto desumere l’insuccesso del RdC dal basso numero di beneficiari che si occupano. Molti percettori del RdC sono difficilmente occupabili e in molti casi incombenze familiari di varia natura (figli, disabili, anziani) rendono quasi impossibile accettare un lavoro. 

Il presidente dell’Anpal, l’Agenzia nazionale per le politiche attive, in nell’audizione alla Camera ha dichiarato che circa il 26 per cento dei percettori ha trovato occupazione mentre riceveva il RdC e per il 15 per cento il nuovo rapporto di lavoro è ancora in essere. Tenendo conto delle caratteristiche della gran parte dei beneficiari del RdC e del contesto economico si tratta di risultati non disprezzabili.

Dunque, occorre molta cautela prima di giungere alla conclusione che il RdC spinge a “crogiolarsi sul divano”. Il disegno del RdC può essere rivisto per limitare un simile rischio, in particolare sulle aliquote fiscali marginali elevate che riducono la convenienza ad accettare lavori a bassa retribuzione e orario limitato perché il vantaggio salariale sarebbe quasi uguale alla riduzione del RdC percepito.

Pochi lavori decenti

Un fattore cruciale è la limitata disponibilità di lavori “decenti”, non soltanto in termini retributivi. La pregnanza e il senso riconosciuti al lavoro incidono sull’attaccamento al lavoro e sulla soddisfazione che da esso si trae. Considerare il RdC causa di “ozio” generalizzato – e perciò proporne l’eliminazione - è un’impropria generalizzazione.

Chi rifiuta un lavoro regolare potrebbe accettarlo se fosse sommerso poiché il salario “nero” può sommarsi al RdC e, peraltro, da questo potrebbero trarre vantaggio, in termini di salari più bassi, anche i datori di lavoro. Di fronte a questa possibilità non vi è nulla di meglio di controlli rigorosi e sanzioni adeguate. I vantaggi, naturalmente, andrebbero al di là del più corretto utilizzo del RdC.

Il primo obiettivo di una misura di reddito minimo è migliorare le condizioni economiche dei beneficiari.

L’occupazione è importante ma non può essere il criterio principale di valutazione di quella misura. Come si legge nei manuali di politica economica, per raggiungere due obiettivi occorrono, di norma, due strumenti.

Per tutelare i poveri e ampliare l’occupazione sono necessarie anche politiche di sostegno della domanda di lavoro. Pensare di non tutelare i poveri per ampliare l’occupazione avrebbe effetti negativi certi sulla povertà e effetti positivi assai dubbi sull’occupazione, specie quella che dà senso alla vita delle persone.

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