Il funerale di Giorgio Napolitano ha reso icasticamente la voragine fra la classe politica post bellica, nutrita dall’antifascismo costituzionale e quella che, al governo, la scruta con fastidio. Essa si pretende generata da una fonte miracolosa, scaturita dal nulla. Speriamo che col presidente emerito non sia stata inumata anche la politica seria, volta all’interesse generale.

Nel mestiere più arduo al mondo, la politica, ha il ruolo più ingrato il predecessore, su cui è facile scaricare i problemi proprio mentre ci si appropria del suo lavoro. Ogni riferimento alla comunicazione della premier Giorgia Meloni è voluto.

In politica devi convincere gente della più varia estrazione sociale, culturale ed economica della validità delle tue proposte. È un’arte vicina alla magia, ma Meloni fa un balzo quantico: ricorre all’illusionismo.

Solo una grande illusionista può indurre il maggior quotidiano italiano a pubblicare in prima pagina titoli come due recenti. Il primo, “Meloni-Macron: sui migranti un piano europeo”, allude a un piano comune di cui non c’è traccia. Nel secondo, sulla Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza (Nadef), il titolo è: “Manovra, dote da 14 miliardi”.

Solo il sottotitolo specifica che la “dote” verrà dall’aumento del deficit al 4,3 per cento del Pil, e il debito non scenderà per tre anni. Come scrive Massimo Bordignon su lavoce.info, gli stati “frugali” ci saranno ancora più ostili sul rinnovo del patto di stabilità.

L’illusionismo fa propalare la fola che un aumento del deficit formi una “dote”; vorrebbe nascondere le scelte regressive della destra. L’aiuta il malvezzo di dare per attuate e operanti decisioni spesso solo abbozzate.

Due terzi di quella “dote” ridurrà, a spese della fiscalità generale, il “cuneo fiscale” a chi guadagna meno di 35mila euro, evitando il calo di quelle retribuzioni nel 2024; “domani è un altro giorno e si vedrà”. Meloni vorrebbe ingraziarsi imprese e dipendenti, ma neanche la sua abilità farà scordare che il 60 per cento delle imposte sui redditi, con cui quel debito sarà “servito”, le pagano dipendenti e pensionati. Meloni con una mano dà, con l’altra toglie subito un po’; il resto magari domani dovran toglierlo altri.

Siamo all’apice dell’illusionismo, perché quel peso in futuro ricadrà ancor più sui dipendenti, grazie alla flat tax: come ha scritto sul Sole 24 Ore il 28 settembre Vincenzo Visco, membro dei governi Prodi, l’innalzamento del tetto di quella tassa a 85mila euro aumenta le già enormi iniquità a danno dei contribuenti “ordinari”: il combinato disposto di tale tassa e della stratosferica evasione degli autonomi, stimata al 70 per cento (dichiarano in media solo il 30 per cento!), fa sì che a parità di redditi effettivi, i dipendenti paghino 10 volte più della media degli autonomi.

Il taglio del cuneo fiscale è una mancetta, lacerti di carne gettati a placare le vittime discriminate di una tassa iniqua, contro lo sviluppo.

Per aggiungere al danno la beffa, Meloni vuol rendere meno ambiziosi gli obiettivi di riduzione dell’evasione scritti nel Pnrr. Intanto boccheggiano i comuni, distrutti dalla fine dell’Imu sulla prima casa. I referenti internazionali di Meloni sono Donald Trump, alla cui rielezione punta in silenzio, e Viktor Orbán. L’atlantismo è un velo troppo fragile per celare la sua ostilità alla Ue.

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