Trump e la variabile saudita. Riad non si fida più degli Usa

Il convitato di pietra del Medio Oriente, il presente-assente di ogni ultima riunione – incluso il vertice di Sharm el Sheik – non ha ancora deciso di mostrarsi. Nell’area sta accadendo di tutto, l’agitazione politico-diplomatica è ai suoi massimi livelli, lo sforzo americano possente, ma il leader del più importante paese arabo non desidera dirci come la pensa. Forse lo sapremo solo durante o dopo la sua prossima visita a Washington (dovrebbe tenersi a metà mese), ma nemmeno questo è certo. Mohammed bin Salman, il principe ereditario dell’Arabia Saudita che tutti conoscono con le iniziali Mbs, ancora non ha preso una posizione definitiva (e per questo non era presente in Egitto). Di sicuro non deve essere particolarmente soddisfatto dell’andamento dei vari conflitti e delle ricomposizioni in atto. L’attacco israeliano al Qatar ha messo in evidenza che non ci si può fidare né di Tel Aviv né degli Stati Uniti: essere bombardati pur ospitando una grande base americana sul proprio suolo, significa non possedere mai nessuna garanzia. Ieri Gaza, oggi Venezuela e Nigeria. Così Trump dimentica l’“America First” L’accordo con il Pakistan che Riad ha voluto (con una inusuale rapidità: 8 giorni) e con il quale si è posta sotto quell’ombrello nucleare, sta proprio a significare che Mbs non si fida più degli occidentali (americani in primis), se mai si è fidato. L’entrata nel complicato gioco mediorientale dell’unica potenza nucleare islamica cambia gli equilibri, saldando il quadrante a quello indopacifico. Deve essere stata anche questa la ragione del precipitarsi di Donald Trump a bloccare Benjamin Netanyahu: l’effetto del bombardamento sul Qatar sta provocando delle onde lunghissime che giungono fino in Asia e turbano i disegni di Washington. Per Mbs gli accordi di Abramo si allontanano anche perché non hanno più alcun senso se l’Arabia Saudita si vuole difendere da eventuali attacchi. L’idea americana era che Israele potesse entrare dalla porta principale in Medio Oriente come potenza regolatrice, al pari o in accordo con l’Arabia Saudita oltre che, in posizione subalterna, con l’Egitto, gli Emirati ed altri. Ma la follia bellica di Netanyahu ha scombinato tutte le carte e nessuno pensa di poter più far affidamento su quello schema. Lo stesso Israele ai paesi del Golfo non pare più così unito e stabile da risultare utile per un qualunque tipo di intesa. Anche l’accordo di mutua difesa firmato tra americani e qatarini (che qualcuno paragona a quelli Nato) non significano granché. Meglio pararsi da soli, hanno pensato i sauditi. D’altronde gli stessi patti dell’alleanza atlantica non sono più così cogenti, figurarsi quelli con paesi terzi. Se l’America che vuole tornare grande non appare un partner affidabile, ognuno si può sentire legittimato a correre ai ripari: è ciò che deve aver pensato Mbs. Affari di famiglia, Trump a Riad stringe accordi con bin Salman A Washington sarà dunque un incontro duro con Trump perché Mbs è abituato a parlare chiaro e a non fare complimenti, come si è visto con Barack Obama e Joe Biden. Il tycoon dovrà anche spiegare al suo ospite cosa vuole fare con Teheran: l’idea di accoglierla in un quadro di dialogo ma nel contempo di tenerla in disparte non convince. Nemmeno persuade l’asserzione di aver distrutto la capacità nucleare iraniana: non ci sono prove sufficienti, e Trump si troverà di fronte uno scettico Mbs. Al tempo di Biden i sauditi si erano proposti di gestire la Striscia di Gaza senza ricevere risposte. Ora Trump ne sarebbe felice, ma non è detto che MBS abbia mantenuto la medesima idea anche perché sono troppi i soggetti coinvolti nella ricostruzione. I sauditi sono abituati a mescolare assieme politica e affari, proprio nello stile preferito dal presidente Usa. Hanno anche un’innata simpatia per quest’ultimo che ha sempre scelto il loro paese per i suoi interventi e per le sue prime visite ufficiali. Ma ora il vento è cambiato e la “parentela” Usa-Israele pare a Riad troppo limitante e senza garanzie di successo (o di guadagno). Basta far riferimento all’Ue: quanti milioni ha buttato per costruire in Cisgiordania e a Gaza che Israele non si affrettata a distruggere in tante guerre? L’Israele di Netanyahu e della destra estrema oggi al potere è un paese spaccato, intriso d’odio e diviso al suo interno. A Riad Trump riabilita Putin. Zelensky è fuori, l’Ue al tavolo dei piccoli È anche un paese imprevedibile: troppi luoghi di potere contrapposti e in competizione permanente fra di loro. Forse non siamo ancora ai tanti “Stati d’Israele” che paventa l’ultimo numero di Limes, ma certamente gli americani faranno fatica a spiegare ai sauditi chi comanda davvero a Tel Aviv. La fiducia dei sauditi si è molto ridotta con possibili lunghe e amare ripercussioni. Medio Oriente, potere ai sunniti: ora comandano Erdogan e Riad