La guerra in Ucraina, che non accenna a placarsi, mette in movimento molte cose per il futuro. Ne accenno a due: a) sarà ancora possibile affermare i valori morali tradizionali dopo la loro identificazione con le ragioni della guerra d’aggressione di Putin da parte del patriarca di Mosca, Kirill? b) La guerra ferisce la credibilità del cristianesimo. A Kiev morirà anche l’ecumenismo, cioè il dialogo tra le Chiese cristiane, particolarmente in Europa?

La guerra metafisica

Per Kirill, se la guerra può qualificarsi come “metafisica”, come scontro fra il bene e il male, come chiamata al “martirio” per la Chiesa russa è anche in ragione dell’immoralità e della decadenza dell’ethos occidentale. Aborto, attacco alla famiglia tradizionale, teorie di genere, ingegnerie sociali (melting pot) sono «idee pericolose basate sulla negazione dell’eredità cristiana e sull’accettazione del relativismo morale come una sorta di principio su cui costruire i rapporti tra le persone». «Nell’attuale situazione della politica mondiale, la conservazione dei valori tradizionali è chiamata a diventare l’indirizzo strategico della Federazione Russa» (Kirill nell’Incontro coi parlamentari, 17 maggio).

«Stanno arrivando tempi particolari per il nostro popolo e soprattutto per la nostra Chiesa. Ci conceda Dio di rispondere in queste circostanze alla nostra chiamata secondo la nostra promessa, da gerarchi, da sacerdoti, ed essere fedeli al Signore e Salvatore fino alla morte» (ai gerarchi della sua Chiesa, 24 maggio).

La discutibile saldatura fra l’affermazione di fede, la pratica morale e l’ethos collettivo si ritrova in molti testi dell’Ortodossia russa. Nei Fondamenti dell’insegnamento della Chiesa ortodossa russa su dignità, libertà e diritti umani si passa dall’affermazione dell’uomo come immagine di Dio e chiamato alla “deificazione” ad affermare il «rapporto diretto tra dignità umana e moralità».

Riconoscendo il valore della libertà, la Chiesa sostiene che tale libertà «scompare inevitabilmente quando la scelta è fatta per il male».

Si è liberi per il bene, determinato dalla fede, e non per il male. È la (pretesa) contraddizione dei diritti umani occidentali che non tengono conto «della dimensione morale della vita e della libertà dal peccato».

Kirill non è solo

È prevedibile che tutto ciò venga consegnato al passatismo davanti all’evidente contraddizione di affermare il bene e giustificare una guerra d’aggressione. Ma la rivendicazione dei valori morali tradizionali e della loro espressione giuridica  è sostenuta anche dagli episcopali cattolici del centro-Europa, in particolare da Polonia, Cechia, Ungheria.

Nella supplica alla Madonna di Iasna Gora (2 maggio) il presidente dei vescovi polacchi ha detto: «Stiamo vivendo una nuova fase di scristianizzazione della nostra società, cultura, scienza, istruzione e media, favorita da organizzazioni sovrastatali che non hanno legittimazione democratica. In nome del bene dell’umanità e dell’autodeterminazione formale, cercano di introdurre l’aborto, le relazioni omosessuali, la riassegnazione del sesso o la sessualizzazione precoce dei bambini. E lo scopo è quello di disintegrare la natura corporea e spirituale dell’uomo e spogliarlo della sua essere “persona”». Un nuovo totalitarismo.

L’assonanza è evidente fin da un documento congiunto polacco-russo, firmato a Varsavia nel 2012. La censura alla posizione russa trascinerà nell’irrilevanza anche quella dei paesi di Visegrad, nonostante le dure posizioni dei vescovi contro Putin e la sua guerra?

In realtà sono due modelli argomentativi diversi. Per Kirill l’identificazione di fede con l’etica personale e l’ethos collettivo impedisce di fatto ogni discussione.

Gli episcopati riconoscono lo spazio tra fede e valori “naturali”, ma rivendicano alla Chiesa di interpretarne i limiti invalicabili. Sono i cosiddetti “principi non negoziabili”.

Un terzo modello interpretativo, a cui si riferisce papa Francesco, parte non dalla dottrina, ma dal Vangelo, riconoscendo lo sviluppo storico delle indicazioni morali. E, senza rinunciare a nulla, attribuisce al dibattito sociale (di cui la Chiesa è parte), il progressivo riconoscimento della loro normatività. La cultura laica occidentale ne dovrebbe tenere conto per non cullarsi in un trionfalismo acritico e perdere interlocuzioni preziose.

La Chiesa russa isolata

La guerra ha spaccato le Chiese ortodosse fra il ceppo slavo (in particolare Russia e Serbia) e quello ellenico dividendo anche la diaspora ortodossa nel mondo. Ha isolato la Chiesa russa rispetto alla Chiesa cattolica e alle Chiese protestanti e anglicane.

Fra le vittime di guerra ci sarà anche l’ecumenismo, dopo un secolo di paziente crescita? La decisione della Chiesa ortodossa filo-russa in Ucraina (metropolita Onufrio) di tagliare i ponti istituzionali con Mosca non l’ha avvicinata alla locale Chiesa “autocefala”. Gli odi e i risentimenti anti-russi sono troppo profondi per una facile riconciliazione.

Tuttavia la Chiesa greco-cattolica, nettamente schierata per la guerra di difesa, ha nella sua storia un deposito di credibilità e una ipotesi di soluzione che potrebbe emergere nel dopo-guerra. Oggi essa non è più motivo di divisione rispetto all’Ortodossia locale.

Da decenni gli arcivescovi maggiori (l’autorità superiore fra i greco-cattolici), da Slipy a Husar, fino all’attuale, Sviatoslav Shevchuk, hanno coltivato l’attesa  in un unico patriarcato cristiano a Kiev, capace di unificare la locale ortodossia e comprendere la comunità greco-cattolica.

L’unità di rito, di lingua e di storia permetterebbe una doppia giurisdizione e una doppia obbedienza, a Costantinopoli e a Roma.

In una intervista di dieci anni fa Schevchuk diceva: «Non ci sarà un passo avanti nell’unità se si prescinde dall’unità di quanti sono eredi dell’unica Chiesa di Kiev. Quando Husar diede l’annuncio del ritorno della sede arcivescovile da Leopoli a Kiev, pronunciò uno storico discorso sull’ “unico popolo di Dio sulle sante montagne di Kiev” in cui espresse una visione sulla costruzione di un’unica Chiesa, passando dall’esclusivismo confessionale a una comunione di confessioni. Posso dire di condividere la sua visione».

Una ipotesi similare è stata espressa da parte ortodossa dal Centro di studi ecumenici di Salonicco (Cemes) in un appello del 12 aprile scorso. L’Ucraina che è il centro dell’attuale scisma fra le Chiese ortodosse potrebbe accendere l’avvio di una sperimentazione sorprendente: un unico patriarcato con una doppia obbedienza ecclesiale fra Oriente e Occidente.

Il cristianesimo ferito da una insensata giustificazione della guerra, potrebbe inventare un gesto di straordinario spessore profetico per la futura concordia nelle Chiese e nel continente.

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