Ucraina, confini e sicurezza. Quei compromessi difficili per la pace

I fondamentali suggerimenti che, a mio avviso, ci dovrebbero guidare per muovere nelle direzione di un nuovo ordine mondiale, sono illuminati da due fari accesi dal presidente Mattarella nel buio che ci circonda: il primo faro ci indica che «è un’azione irresponsabile e inammissibile ridefinire con la forza gli equilibri e i confini»; il secondo è quello che ci indirizza «verso una pace giusta e nella sicurezza». Naturalmente, nelle condizioni che si sono create in Ucraina, è stato necessario cercare di arrivare a un compromesso. Ma a mio avviso, il compromesso lo si sarebbe e lo si dovrebbe ricercare mantenendo fede ai principi della Carta dell’Onu. Come? Se si voleva, e se si vuole, evitare una deriva incerta anche per il futuro, sarebbe stato necessario prendere il toro per le corna, cercando di individuare i compromessi possibili in un orizzonte rispettoso della legalità internazionale, cercando di armonizzare e far convivere diversi principi. Trump fa squadra con Putin per infangare l’Ue, ma stiamo meglio noi degli Usa Principi e inviolabilità Nell’affrontare tale problema, la comunità internazionale e i contendenti sul campo non possono nascondersi che il terreno del compromesso e della trattativa riguarda sia rivendicazioni territoriali, sia status di sicurezza comune e condivisa. Come sappiamo, il principio della inviolabilità delle frontiere non concede la mera cessione di una parte del territorio sovrano. Ma esiste un altro principio che può circoscrivere e, in parte, limitare l’inviolabilità dei confini. Si tratta del principio di autodeterminazione dei popoli, affermato nella Carta Atlantica e nella Carta delle Nazioni Unite, e ribadito nella Dichiarazione di principi sulle relazioni amichevoli tra Stati, adottata dall’Assemblea Generale nel 1970, che raccomanda ai membri dell’Onu di astenersi da azioni di forza volte a contrastare la realizzazione del principio di autodeterminazione e riconosce ai popoli il diritto di resistere, anche con il sostegno di altri stati e delle Nazioni Unite, ad atti di violenza che possano precluderne l’attuazione. Distruggendo l’alleanza con l’Europa Trump fa un favore a Putin Tutte queste posizioni, se da un lato ribadiscono un principio non negoziabile, quello della intangibilità dei confini degli stati, e il carattere criminale dell’aggressione, dall’altro, attraverso il richiamo alla autodeterminazione, offrono, o avrebbero potuto offrire, alla Russia la possibilità di verificare e convalidare quanto il Cremlino adduce a suo favore, cioè l’autentica volontà delle popolazioni che vivono nei territori attualmente occupati dall’esercito di Mosca. Naturalmente, in una ipotesi di congelamento del conflitto all’attuale fronte questa strada potrebbe essere ancora tentata. Tuttavia ritengo comunque utile ricordare tali principi, se non altro, per ragioni di logica e per futuro monito: l’autentica volontà delle popolazioni la si sarebbe potuta o la si potrà verificare solo attraverso referendum da celebrarsi sotto l’egida delle Nazioni Unite e/o dell’Ocse, senza la presenza dei due eserciti contrapposti; oppure attraverso un accordo tra le parti che individui aree a statuto speciale, con lo spirito, sia pure in forme e contenuti diversi, con cui fu avviato l’accordo tra Alcide De Gasperi e Karl Gruber sull’alto Adige. Sarebbe – o sarebbe stata – un’offerta estremamente generosa verso chi si è macchiato del crimine di guerra di aggressione. Nello stesso tempo il “principio di autodeterminazione” non viola quello della intangibilità delle frontiere, in quanto si muove su un terreno diverso rispetto a quello dei rapporti interstatali, dal momento che sovrappone i diritti dei popoli a quelli degli stati intesi come apparati di governo. Naturalmente, una simile strada comporterebbe, o avrebbe comportato, la disponibilità alla partecipazione della stessa Russia a una autentica conferenza internazionale di pace volta a collocare la questione ucraina nel contesto di un primo approccio ai temi riguardanti un nuovo ordine internazionale che si basasse sulla ricerca di una sicurezza condivisa. L’Ue è in balìa dei sovranisti, quelle pedine perfette per Trump E l’Europa? Tuttavia, in una crisi che ha il suo epicentro in Europa, dovrebbe spettare a un’autentica Europa politica, con la capacità di parlare con una voce sola nella politica estera e di difesa, fare sentire una effettiva autonomia strategica che, in prospettiva, muovesse, come ho già affermato, nella direzione di una governance mondiale, fondata su un’Onu riformata cui affidare, come già avviene all’interno degli Stati, il “monopolio della forza” nella difesa della legalità internazionale, sottraendola alle sole “alleanze militari”. So benissimo che questa Europa politica non esiste ancora. Ma la prova del fuoco su cui si forgiano le nuove entità statali è alle porte e dovrebbe essere affrontata subito e con chi ci sta, bypassando i cavalli di Troia che operano al nostro interno. Non è detto che questa strada sia, o fosse, in tutti i suoi aspetti, realmente percorribile. Sarebbe, almeno per futura memoria, già molto importante prendere coscienza di una circostanza rilevante: che è possibile giungere a compromessi significativi, senza stravolgere la legalità internazionale, attraverso la netta riaffermazione del divieto dell’uso della forza per risolvere le controversie internazionali, contemperata dalla sovrana decisione popolare mediante il “principio di autodeterminazione”. Ucraina, la valanga dei “niet” russi: no alle forze Nato e all’intesa sul Donbass Ma, nell’attuale stato delle cose, è del tutto evidente che se la Russia continua con le sue boutade sui “porcellini” europei con l’intento di continuare la guerra per tutto il 2026, non ci resta altra strada che continuare a difendere l’Ucraina. Ciò non toglie che rimettere in campo valori e principi che ci possano preservare da tragedie future rimane, comunque, una condizione necessaria per farci uscire dall’attuale baratro in cui siamo immersi, sul cui fondo dominano solo la forza e il denaro.