La guerra in Ucraina avrà conseguenze profonde e durature anche sulla competizione tra le valute per il dominio nelle riserve ufficiali. Ci si interroga se e quanto potrà durare il lungo regno del dollaro, iniziato dopo la seconda guerra mondiale, e rilanciato dalla fine della guerra fredda e dall’integrazione della Cina nel commercio internazionale.

Siamo all'inizio di un declino che favorirà l’ascesa del renminbi cinese? e quale sarà il futuro dell'euro nei nuovi equilibri finanziari del mondo?

Cos’è una valuta di riserva

Una valuta di riserva internazionale deve avere caratteristiche precise: essere l’unità di misura che esprime i prezzi dei beni e servizi negli scambi commerciali; la valuta di riferimento nel mercato dei cambi per quotare il tasso di cambio di ogni altra valuta; avere una attività finanziaria in cui le banche centrali e i privati investono a difesa del valore della propria moneta, con un rendimento privo di rischio perché emessa da un’entità sicuramente solvibile; essere emessa da un paese con un mercato finanziario efficiente con intermediari in grado di assicurare la continuità degli scambi e la trasparenza dei prezzi anche in condizioni avverse, una banca centrale che preserva la stabilità del potere di acquisto e dove prevale la certezza del diritto, l’indipendenza e l’efficienza delle corti, e la garanzia della libertà di movimento dei capitali.

Il soddisfacimento di tutte queste condizioni ha garantito al dollaro la posizione di valuta di riserva ufficiale da più di settant’anni.

Per un paese, avere una valuta di riserva internazionale apporta notevoli vantaggi: non si deve preoccupare dei disavanzi della bilancia con l’estero perché li può pagare con la propria moneta, non dovendo accumulare riserve ufficiali per questo fine; e può finanziare con maggior facilità il proprio debito in quanto l’offerta dei propri titoli di stato beneficia della domanda di riserve degli altri Paesi, che sono investite in quelle attività.

Basti pensare che un terzo dei 23.172 miliardi di dollari di titoli stato emessi dal Tesoro americano (al netto delle posizioni delle altre agenzie governative) sono detenuti da stranieri; e di questi ben 1.277 miliardi proprio da Cina e Hong Kong, il secondo maggior investitore al mondo in Treasury Bond dopo il Giappone.

Le riserve ufficiali in dollari dei vari paesi (ma lo stesso vale per l’euro e il renminbi) non sono costituite da banconote detenute dalla banca centrale nel proprio caveau, ma sono depositi in quella valuta presso banche americane, organizzazioni internazionali (come per esempio il Fondo monetario Internazionale) e titoli di stato Usa per cui la Federal Reserve agisce come depositaria; e quando una banca centrale compra o vende dollari e titoli americani, la negoziazione passa per intermediari sul mercato finanziario americano.

Questa caratteristica della valuta di riserva ha dato però anche il potere ai vari governi americani di imporre le sanzioni all’Iran in passato, e oggi alla Russia, congelando le loro riserve in dollari e tagliandole fuori dal sistema dei pagamenti per il commercio internazionale, prevalentemente denominati nella moneta americana.

Il boomerang del dollaro

Un uso “politico” della posizione di riserva internazionale da parte delle Amministrazioni Usa che potrebbe diventare un costoso boomerang: tutti paesi politicamente ostili o non allineati agli Usa, a cominciare dalla Cina, che volessero affrancarsi dal rischio di sanzioni potrebbero sostituire il dollaro con un’altra valuta di riserva, sganciandosi dal sistema finanziario e dei pagamenti americano, spingendo così il dollaro sulla strada del declino.

E poiché la Cina ha ormai un’economia dalle dimensioni comparabili a quelle di Usa e Europa, si verrebbero a creare due aree del mondo finanziariamente segmentate: l’occidente che continuerà a gravitare attorno a un dollaro ridimensionato anche dalla crescita dell’euro; mentre Russia, Cina e molti paesi emergenti e del Medio Oriente migrati al renminbi, e ai sistemi di pagamento e finanziario cinese.

Non credo però sia uno scenario realistico, almeno per molti anni ancora; e anzi penso che il dollaro uscirà rafforzato dalla crisi Ucraina, purtroppo a spese dell’euro che dovrà rinunciare alle proprie ambizioni di competere con la valuta americana.

Il renminbi cinese non ha nessuna delle caratteristiche per diventare valuta di riserva, né le avrà per molti anni ancora.

La Cina da tempo persegue la liberalizzazione e la promozione della sua moneta, ma nel 2015, di fronte a una crisi valutaria e a fughe di capitali, ha imposto controlli sui movimenti, sia sul mercato domestico che quello off shore a Hong Kong, rendendo la valuta ancora oggi non pienamente convertibile.

Per questa ragione, pur non avendo dati certi, ritengo che ben poco del commercio internazionale con la Cina venga pagato in renminbi. Chi ricorre alla moneta cinese è di solito un paese emergente che si è dovuto finanziare in renminbi come condizione per avere infrastrutture costruite dai cinesi.

I limiti della Cina

Il mercato dei titoli di stato è ancora grandemente sottodimensionato, troppo poco liquido e molto opaco; manca la certezza del diritto (venuta meno anche a Hong Kong dopo annessione e la repressione dei diritti); manca la libertà di accesso degli intermediari al mercato finanziario domestico, dominato da banche di stato e infestato da uno shadow banking fonte di speculazioni; e la nuova criptovaluta della Banca Centrale è per soli usi domestici, e dichiaratamente a scopo di controllo dei pagamenti.

Probabilmente la Russia dirotterà gas e petrolio alla Cina, che pagherà in renminbi da utilizzare per comprare merci cinesi; altrettanto faranno l’Iran e altri paesi emergenti ostili agli Usa. Ma sarà solo un piccolo interscambio semi-autarchico.

La Cina dipende dall’export verso l’occidente e i paesi asiatici allineati (1.500 miliardi nell’ultimo anno) per raggiungere gli obiettivi di crescita a fronte di una domanda interna stagnante, anche per via di una demografia molto sfavorevole e una gigantesca crisi del debito del settore immobiliare, stimato in circa il 25 per cento del Pil: non può permettersi il rischio di sanzioni occidentali o di rescindere il legame con l’occidente.

Non c’è dunque possibilità che il renminbi possa scalfire il predominio del dollaro nel prossimo futuro.

I rischi dell’euro

Chi ha più da perdere è l’euro. Prevalentemente utilizzato per il commercio intra europeo, era stato accumulato come valuta di riserva proprio da Russia e Cina: la prima per sganciarsi dal dollaro e legare maggiormente a sé l’Europa per le forniture energetiche; la seconda per espandere gli investimenti in infrastrutture e tecnologia europea. Ma le sanzioni contro la Russia, e il progressivo allontanamento della Cina dall’occidente, ridurranno anche la domanda di euro a scopo di riserva.

L’opposizione alla mutualizzazione del debito pubblico in euro ha impedito di creare un titolo privo di rischio che potesse competere con i Treasury bond; e i titoli tedeschi, oltre ad essere penalizzati dal rendimento negativo, sono privi della liquidità necessaria per via dei massicci acquisti della Bce e del pareggio di bilancio tedesco che ne ha ristretto l’offerta.

Infine, mancano gli intermediari e le banche di investimento pan-europee dotate dei capitali indispensabili al funzionamento di un vasto mercato dei titoli; che invece rimane banco centrico, frammentato tra tante banche che operano prevalentemente entro i confini nazionali, la cui principale fonte di ricavi deriva dalla vendita di servizi, credito e prodotti alle famiglie risparmiatrici.

Per intonare la Messa di requiem del dollaro bisognerà aspettare ancora.

© Riproduzione riservata