L’Ue vuole una pace giusta, ma non ha una exit strategy

È proprio vero che l’Europa non conta? Non è così sicuro: se non ci fosse l’Europa, la guerra in Ucraina sarebbe già terminata. Ovviamente alle condizioni russe. Gli Stati Uniti di Donald Trump non hanno interesse al proseguimento del conflitto, perché rafforza la Russia in termini militari mentre economicamente la getta in braccia cinesi. Entrambe le eventualità non rappresentano un vantaggio per l’America: nessuno dimentica che Mosca dispone ancora di un settore tecnologico-militare di primo livello, oltre che l’atomica. Inoltre più Russia e Cina si avvicinano (come si è visto nel vertice della Shangai Cooperation Organization), più gli Stati Uniti devono faticare per mantenere l’egemonia nell’Indopacifico. Non è tanto la sopravvivenza della Russia che preoccupa, ma gli effetti del combinato disposto tra le due potenze. Ai dirigenti europei tutto questo non importa, allarmati da un rischio che sentono molto più ravvicinato e immediato: la pressione russa alle loro frontiere che potrebbe – alcuni ne sono convinti - trasformarsi in invasione. È la ragione per cui un’ipotesi di Helsinki 2 non trova nessun favore in Europa. Pur puntellata da una serie di giusti principi (tra i quali l’inviolabilità delle frontiere), la conferenza di Helsinki del 1975 si basava su una dottrina di fondo: le sfere di influenza. Nessuno in Europa vuole tornare ad una fase “a blocchi”, come fu a quell’epoca. Helsinki stabilì che reciprocamente le due metà d’Europa non dovessero cercare di influenzarsi. Da parte occidentale si doveva smettere di tentare la “democraticizzazione” dei paesi sotto l’ombrello russo/sovietico. Quei droni-killer che dominano i cieli. È l’algoritmo della morte a vincere le guerre Anche la riunificazione tedesca doveva restare nel cassetto. Il mondo libero si auto-limitava. Polacchi, ungheresi, cecoslovacchi e via dicendo non ne furono così felici, ma solo i loro regimi. Certo è che dopo appena cinque anni dalla firma, i fatti di Polonia si incaricarono di smentire quel sistema e i tank intervennero per arginare Solidarnosc sostenuta attivamente dall’Occidente. Agli europei il modello Helsinki non è mai piaciuto, perché congelava il continente sui risultati della fine della seconda guerra mondiale, che – per ragioni diverse - molti ritenevano ingiusti. La spinta ad influenzare era vicendevole. Ma a metà degli anni Settanta, pur minacciosa, Mosca era consapevole dei propri limiti in Europa (mentre altrove avanzava). La domanda è se oggi sia ancora così e la storia non faccia che ripetersi. I leader europei resistono ad una soluzione al conflitto ucraino che accetti il fatto compiuto e la logica delle sfere di influenza (molto meno i popoli). Difendono il sacro principio di inviolabilità delle frontiere anche se Mosca grida alla manipolazione e se loro stessi non li hanno sempre rispettati. È la ragione per cui un modello Helsinki viene respinto dai governi europei mentre per americani e russi sarebbe perfetto. In Alaska se ne è presumibilmente parlato, ma Londra, Parigi, Berlino, Varsavia l’hanno ostacolato in tutti i modi. Washington sta ancora cercando una soluzione ma non basta certo Viktor Orbán a riequilibrare, mentre Roma per ora prudentemente tace. L’Ue in trappola: si liberi dai fossili e dai ricatti degli autocrati L’ipotesi che Mosca possa contare su una zona di influenza europea viene assolutamente respinta. Malgrado i tentativi Usa di fare pressione sugli europei, questi ultimi non demordono. L’esempio migliore sono le relazioni con il Regno Unito: a dispetto del buon trattamento (dazi solo al 10 per cento) e delle continue visite, gli Usa non sono riusciti a convincere Londra a cedere. L’Europa fa muro ad una pace che ritiene “ingiusta” e labile, cioè allo scambio pace contro territori. Il problema è che si arresta a questo punto, non sa andare oltre. È disposta a continuare a spendere in armi per l’Ucraina, ma senza la certezza che basti. Fa una guerra per proxy, cioè con il sangue degli ucraini e non il suo. Difende dei principi giusti anche se li ha trasgrediti in passato. Soprattutto non offre altre soluzioni, se non una guerra infinita. La posizione europea è senza sbocchi e mette tutti in pericolo, ucraini per primi. Al di là del duello tra pragmatismo e posizioni di principio, sarebbe necessaria un’opzione più elaborata di exit strategy, più politica, più lungimirante, che aiuti davvero gli ucraini a uscire dall’attuale dramma.