La protesta degli agricoltori in Europa esprime in modo plastico le difficoltà di far ripartire la crescita e governare la transizione ecologica oggi urgente. I produttori agricoli chiedono protezione dall’Ue e dai governi. Non è facile rispondere in modo sistemico. È vero, nel 2023 gli agricoltori hanno sofferto la concorrenza delle importazioni di cereali a basso prezzo dall’Ucraina e ora paventano gli accordi con il Mercosur; ma questo non può tradursi in politiche protezioniste, soprattutto verso l’Ucraina.

Gli agricoltori vogliono sostegno per superare le difficoltà indubbie dell’anno trascorso, chiedono sussidi per compensare il costo del gasolio. Ma il bilancio della Politica agricola europea (la Pac) dispone di 386 miliardi di euro, dei quali 300 sono stati già stanziati per sostenere gli agricoltori e proteggere l’ambiente tra il 2023 e il 2027 (quest’anno circa 57 miliardi sui 186 del bilancio complessivo).

Le agevolazioni dei governi si sono ridotte, a partire dalla Germania, dove è scoppiata la protesta, perché il debito pubblico, come in Francia e in Italia, è salito a valori insostenibili ai tassi di interessi correnti. Il debito indebolisce le economie, mentre Bce e Fed non hanno dato certezze su una riduzione dei tassi prima dell’estate.

In assenza di un bilancio europeo, l’Ue non può che operare attraverso regole, per indirizzare uno sviluppo sostenibile e renderlo compatibile con le difficoltà del settore; al massimo riesce a rispondere alle proteste introducendo deroghe, come la possibilità di riservare a culture che fissano l’azoto sul terreno (lenticchie, piselli, fave) le terre di cui è stata richiesta la sospensione dall’uso agricolo (solo il 4 per cento in realtà!). Ma non si va lontano con le regole.

La protesta degli agricoltori mostra l’urgenza di interventi strutturali: una politica agricola e industriale condivisa, un bilancio comune europeo per compensare le difficoltà della transizione.

Facile altrimenti, e sbagliato, incolpare la transizione ecologica. Persino l’Eu Green Deal è sotto accusa, nella insipienza irata delle proteste; ma il Green Deal è la politica che ha segnato la grande svolta dell’Europa nel 2019 e ha costruito il nuovo indirizzo nelle potenzialità di una crescita sostenibile, seguito a diversi anni di distanza dagli Usa di Biden, che ha stanziato una pioggia di finanziamenti nell’Ira (agosto 2022), a sostegno della riconversione verde.

Si dimentica che la produzione di cereali in Ue nel 2023 è stata ridotta anche da disastri ambientali che hanno provocato siccità, incendi, alluvioni contribuendo a ridurre i ricavi della produzione di cereali da 80 a 60 miliardi di euro in un anno. È un’impellenza strutturale che si presenta oggi all’economia e alla società. La scienza ha già offerto strumenti per affrontarla.

Non si andrà lontano finché non diventerà opinione comune e condivisa dalle imprese, dai governi, dai cittadini che la transizione ecologica è un’urgenza e ognuno deve fare la sua parte; poiché come indica l’Eu Green Deal, il nuovo millennio si apre anche con una straordinaria occasione di crescita. In Italia è rinnovata nel Pnrr, che non può essere sprecato da governi distratti e irresponsabili né da imprese appoggiate al sostegno finanziario pubblico.

Per quanto riguarda l’Italia, il costo del debito e le difficoltà di rifinanziamento colpiscono anche l’industria, in particolare le piccole imprese; nel 2024 dovranno iniziare a rimborsare i prestiti garantiti dopo il Covid (circa 125 miliardi) e in molti casi saranno costrette a ricorrere a nuova finanza costosa e difficile da ottenere dalle banche, dopo le garanzie richieste da Basilea IV.

Il debito pubblico non consente deroghe congiunturali né le privatizzazioni possono essere affrontate come un problema contabile per ridurre il debito. Senza una strategia agricola e industriale per spendere i finanziamenti del Pnrr che faccia crescere il paese nella sua integrità in Europa, le risposte alle proteste dei trattori non saranno certo adeguate.

Dopo l’euro, valuta comune europea, serve un nuovo passo: urgono una politica agricola e industriale e soprattutto un bilancio dell’Unione europea.

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