Sta accadendo: estremisti ebrei contro polizia e Tsahal
Sono eversivi e contro ogni legge: vogliono lo stato etnico-religioso
Fermarsi finché si è in tempo desolidarizzando da tutto questo
Sta accadendo esattamente ciò che era previsto da molti analisti e che avevamo anticipato su queste pagine. È iniziato lo scontro interno in Israele, tra estremisti armati di vario genere – religiosi o laici – e polizia o addirittura Tsahal, l’esercito. Anche il primo ministro Benjamin Netanyahu ha reagito.
Sono i prodromi di una guerra civile strisciante che il furore di questi 600 e più giorni di conflitto hanno acceso portando l’odio al massimo livello. In realtà covano sotto la cenere di tante guerre e numerose crisi, in particolare da quando Netanyahu ha dato libero sfogo a tutto ciò che di più violento e oltranzista era nascosto nella pancia di Israele e nelle pieghe della sua destra radicale, portandola al potere.
Radicalismo sovversivo
D’altronde lo stesso Netanyahu discende da una linea di politici di estrema destra che inizia con Vladimir Jabotinsky e passa per le figure più violente dell’estremismo intransigente politico ebraico, sia religioso (come il rabbino Meir Kahane) sia laico (come suo padre). Basta leggere In the name of the temple di Charles Enderlin per averne una ricostruzione dettagliata, con una precisa genealogia del radicalismo sovversivo ebraico.
C’era da aspettarselo: tanto odio contro il nemico palestinese o arabo (o iraniano ma anche occidentale) si trasforma oggi in odio interno verso chi non la pensa esattamente allo stesso modo. Izhak Rabin fu assassinato da una persone proveniente da questa poltiglia esplosiva e irremovibile (anche se non va dimenticato che l’attuale premier istigò a una manifestazione, gridando «fermate quell’uomo a ogni costo!»).
È il destino di tutti gli estremismi: volgersi alla fine contro sé stessi, contro il proprio popolo. È un odio che corrode e distrugge tutto dall’interno. Ha ragione Mario Del Pero quando, su Facebook, chiede che si parli di Cisgiordania perché «non c’è giustificazione alle reiterate violenze dei coloni nei confronti di famiglie d’inermi beduini, alle sistematiche violazioni di tutti gli accordi (aggiungerei di tutte le leggi di Israele ndr) e alla progressiva occupazione di terre palestinesi».
La violenza dei coloni
La Cisgiordania è proprio il luogo dove l’ingranaggio suprematista spacca Israele dopo aver aggredito chi abita da sempre su quelle terre per scacciarli. Non c’è nemmeno la scusante di attacchi o terrorismo.
La violenza dei coloni armati, a cui le armi sono state fornite dai ministri più violenti e radicali del governo attuale, si rivolge ora contro le istituzioni stesse dello stato di Israele. In realtà la loro scelta è eversiva perché da sempre non si riconoscono in quelle istituzioni e puntano a uno stato etnico-religioso usando odiosi metodi degni della peggiore apartheid e della più oscura politica segregazionista.
Potremmo dire che tale ideologia è simile a quella di Hamas o di qualunque altro jihadismo fanatico. Non potrebbe essere altrimenti: quando si dà libero sfogo alle pulsioni più nere, ci si ritrova contro la democrazia, contro ogni diritto e alla fine contro il proprio popolo.
È questo il suicido di Israele che in molti temono: un paese che non sa più difendersi senza compiere stragi di innocenti, non sa più vincere perché non sa fermarsi e cade nel gorgo della follia apocalittica. Inutile schermarsi dietro stragi, massacri o pulizie etniche altrui: un male non può mai scagionare un altro male ma soltanto lo conferma.
Basta scuse: chi è amico di Israele (ebreo o no) e tiene alla democrazia deve assolutamente e subito opporsi e contestare tali comportamenti vergognosi in nulla giustificabili. Bisogna desolidarizzarsi da questa assurda politica. Altrimenti si rischia –presto o tardi – la guerra civile.
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