«Quando i fatti cambiano, cambiano anche le mie opinioni», recita la massima attribuita a John Maynard Keynes, nota anche ai frequentatori occasionali di frasicelebri.it. Di solito viene usata per indicare il comportamento intelligente di chi si fa guidare dai dati di realtà, in opposizione all’ottusità o alla falsa coscienza di chi rimane ostinatamente aggrappato alle proprie convinzioni. È un principio generale largamente condivisibile, ma è molto rischioso trasferire precipitosamente la sintesi pseudo-keyenesiana nella dimensione politica.

Si potrebbe infatti pensare che il governo guidato da Giuseppe Conte, cambiando continuamente indicazioni, regole e segnali sulla gestione del periodo natalizio per contenere i contagi, si stia producendo in un accorto esercizio di adattamento delle decisioni a una realtà che cambia. L’ennesimo cambio delle regole sarebbe così una somma espressione di razionalità e prudenza. Non è così. Innanzitutto, perché i fatti epidemiologici della seconda ondata, nella loro essenza, non sono cambiati di molto negli ultimi tempi, a meno di non volersi ostinare a leggere i dati come fotogrammi isolabili, invece che come un continuum, pensando poi di poter costruire attorno a ciascuna istantanea un apposito Dpcm, che sarà inevitabilmente superato da un decreto successivo.

Da settimane i dati suggeriscono chiusure drastiche per il periodo delicato delle vacanze. Il governo cambia le decisioni al cambiare dei fatti, ma si confonde su quali siano i fatti essenziali a cui fare riferimento per prendere misure adeguate: decide in base agli umori e ai rumori, agli strepiti di palazzo, alle (legittime) rimostranze delle categorie danneggiate, alle lamentele del parentado, agli indici di popolarità, alle geolocalizzazioni di Rocco Casalino, alle bozze fatte circolare come ballon d’essai, configurando una confusione che poi giustifica ex post con il passepartout di questi tempi segnati da leadership deboli: lo fa anche Angela Merkel.

La continua e ormai indecifrabile oscillazione fra aprire, rilassare, chiudere, socchiudere, rinchiudere (e tutti gli immaginabili verbi intermedi) non è un giudizioso segno di adattamento in corsa, è prova semmai di irrazionalità politica. Quando un governo persegue una linea chiara si espone alla possibilità di sbagliare, il che è connaturato all’azione politica, che è infine esposta al giudizio degli elettori. Ma quando un governo cambia in continuazione, per evitare di decidere, sbaglia di sicuro.

Certo, poi potrà dire che ha fatto di tutto per gestire l’emergenza, ma se quel “tutto” è la congerie di segnali contraddittori che in questi giorni occupano le cronache, di certo non sarà abbastanza. Montesquieu diceva che il “vigore” è la caratteristica fondamentale del potere esecutivo: questo governo usa vigorosamente strumenti di decretazione per accentrare le decisioni, ma non c’è traccia di una linea politica vigorosa.

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