Sono poche le elezioni che cambiano davvero le nostre vite. Questa lo è. La vittoria di Joe Biden contro Donald Trump è la prima buona notizia di un 2020 tragico, è la speranza di cui tutti avevamo bisogno per affrontare i cupi mesi che il Covid e la recessione ci mettono ancora davanti.

La lista dei difetti di Joe Biden è lunga quanto la sua quarantennale carriera politica, ma oggi conta poco, ha vinto perché non é Trump, perché ha promesso di tenere gli Stati Uniti e dunque tutto l’Occidente nel gruppo delle democrazie liberali. 

Nel pendolo continuo della storia degli Stati Uniti tra idealismo e ipocrisia, tra progresso e oppressione, tra violenza e riconciliazione, Biden promette di portare l’America di nuovo sul lato più luminoso, fuori dalla cappa nella quale stava soffocando negli anni del trumpismo.

Come ha scritto il New York Times, «gli americani hanno guardato l’abisso dell’autoritarismo nazionalista e hanno deciso di fare un passo indietro dal baratro». E di questo possiamo essere grati alle donne e agli uomini che hanno creduto in una democrazia vilipesa e manipolata dal presidente in carica. 

Con la sconfitta di Trump si esaurisce la prima ondata populista che è iniziata nel 2016 con i referendum sulla Brexit e l’arrivo alla Casa Bianca di un sedicente miliardario che ha scelto la politica come nuovo reality show.

I populisti al governo hanno fallito, non hanno mantenuto le promesse, oppure sono diventati partiti tradizionali (come i Cinque Stelle). Però quell’onda populista non sta passando senza lasciare tracce: lo abbiamo visto in questi giorni e lo vedremo nelle prossime settimane, nelle quali Trump sarà ancora presidente in attesa dell’insediamento di Biden a gennaio. Ci saranno ricorsi giudiziari, altri abusi di potere ancora attacchi alle fondamenta di una democrazia rappresentativa e liberale che ha retto, ma a fatica.

Soltanto il Covid e uno strumento antico e poco controllabile da Trump come il voto postale hanno portato Biden alla Casa Bianca. 

Tra coloro che in Italia si interessano di Stati Uniti solo una volta ogni quattro anni, prevale una lettura pericolosa del fenomeno: Trump parla alla pancia del paese, intercetta i veri bisogni di un’America profonda, chi si oppone lo fa perché troppo ricco, benestante o manovrato dalle élite.

Negli anni di Trump tutti i problemi degli ultimi sono soltanto peggiorati, mentre il presidente usava il potere in modo spesso criminale per proteggere soprattutto sé stesso, non certo gli americani bianchi e poveri travolti dalla globalizzazione: gran parte dei suoi collaboratori degli inizi sono in carcere o sotto indagine - Roger Stone, Michael Flynn, Michael Cohen e altri - nessun presidente ha mai portato alla Casa Bianca un tale livello di malaffare, corruzione e dilettantismo, neppure Richard Nixon. E nessuno ha spinto con tale disinvoltura il paese a un passo da una guerra civile su fratture razziali. 

La vittoria di Biden e della sua vice Kamala Harris non cancella l’America di Trump, così come la crisi dei populismi di governo non prosciuga il loro bacino di consenso, anzi, potrebbe addirittura alimentarlo di nuove rabbie e frustrazioni.

Le istituzioni brutalizzate da Trump - americane ma non solo, pensiamo agli accordi internazionali sul clima, alla Nato, alla stessa Unione europea - non rifioriscono per incanto.

Oggi l’America ha scelto di liberarsi di Donald Trump e questo è un enorme primo passo, adesso si tratta di dimostrare che esiste davvero una alternativa più efficace, più equa e più progressista di affrontare le stesse questioni che Trump ha gestito a colpi di tweet, ricatti e abusi.

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