La legge elettorale è una norma fondamentale per la vita democratica di un paese, che stabilisce le regole del gioco per tutte le forze politiche. Come tale, in una democrazia liberale, non può essere fatta dalla maggioranza contro la minoranza, come purtroppo è già avvenuto almeno una volta (nel 2005, il Porcellum del centro-destra): l’attuale unità nazionale è quindi una buona occasione per una riforma che coinvolga tutti. Non va poi dimenticato che nel 2020 il numero di parlamentari è stato tagliato di un terzo; sarebbe ragionevole inserire questo cambiamento, davvero storico, in una più ampia riforma sul funzionamento delle nostre camere, che passi anche per una legge elettorale che garantisca meglio la rappresentatività, a fronte di una riduzione così drastica dei seggi. Peraltro, all’epoca il Pd di Nicola Zingaretti sostenne il sì al referendum a condizione che fosse poi approvata una legge proporzionale.

Merito e tattica

Qui però veniamo al dunque. Come riformare il sistema elettorale? Nel rispondere a questa domanda bisogna distinguere due ordini di ragioni. Quelle di merito (cioè quale legge è meglio per un paese come l’Italia), che sono ovviamente più importanti. E quelle di tattica politica (cosa conviene oggi alle forze politiche), meno nobili ma che finiscono per condizionare, inevitabilmente, l’esito finale.

Cominciamo dalle prime. Negli anni Novanta prevaleva la convinzione, sostenuta anche dal voto popolare nei referendum del 1991 e 1993, che il sistema migliore fosse il maggioritario. Oggi però siamo in un’altra èra non solo politica, ma economica, sociale e culturale.

Gli anni Novanta erano l’epoca della «fine della storia», in cui si pensava che le forze politiche fossero destinate a convergere verso il centro, per contendersi i voti di un ceto medio sempre più numeroso. Il modello erano gli Stati Uniti. Solo che poi le cose sono andate diversamente: all’interno dei paesi occidentali le disuguaglianze sono aumentate, non diminuite, e il ceto medio si è sempre più assottigliato.

Soprattutto dopo la crisi del 2008, sono emerse formazioni e idee politiche radicali, a destra come a sinistra, spesso populiste: il quadro politico è diventato molto più frammentato, in Italia e non solo, e la ricetta per vincere le elezioni assai più complicata di un semplice “andiamo verso il centro”.

Diversi studi mostrano che i paesi in cui le disuguaglianze sono cresciute meno sono stati proprio quelli con leggi proporzionali, come la Germania e i paesi scandinavi, anche perché quelle leggi consentono di includere maggiormente, all’interno del sistema, le forze che rappresentano gli sconfitti della globalizzazione (si veda ad esempio il libro curato da Carlo Trigilia, Capitalismi e democrazie, Il Mulino, 2020).

Coesione sociale, rappresentatività e salute delle nostre democrazie si tengono insieme. Per questo motivo, oggi sarebbe preferibile anche per l’Italia (specie per l’Italia!) una legge elettorale proporzionale, che aiuti a contenere le spinte populistiche. Peraltro, sarebbe una legge in linea con le tradizioni storiche del nostro paese, che sono tradizioni di corpi intermedi e società civile diffusa (più simili a quelle della Germania).

A chi conviene

Ma qui veniamo alle ragioni di tattica. Conviene oggi alle forze politiche una legge elettorale proporzionale con sbarramento, senza vincoli di coalizione ma abbinata alla sfiducia costruttiva, come quella tedesca? In fondo ogni partito avrebbe un numero di seggi proporzionale ai suoi voti. Forza Italia, Lega e Fratelli d’Italia potrebbero pesarsi e poi muoversi come preferiscono in parlamento (come già fanno in questa legislatura, dove però hanno eletto insieme oltre un terzo dei parlamentari). Il Pd e i Cinque stelle non sarebbero costretti a ricercare candidati comuni in ogni collegio, impresa che si prospetta assai ardua. E anche il blocco dei partiti di centro potrebbe presentarsi da solo, senza il vincolo del voto utile.

Quanto al risultato finale, se restasse l’attuale legge, dove il 37 per cento dei seggi è assegnato su base maggioritaria, ebbene il centro-destra riunito (come si è riunito già per le amministrative) se la vedrebbe con un centro-sinistra irrimediabilmente diviso: otterrebbe per questo una maggioranza di seggi ben superiore ai suoi reali consensi (che sono intorno al 50 per cento). Stante la forza di Meloni e Salvini, rispetto a quella di Forza Italia, rischierebbe così di formarsi nel prossimo parlamento una maggioranza dichiaratamente orbaniana, da “democrazia illiberale”. Il rischio sarebbe invece molto minore con una legge proporzionale, dato che Salvini e Meloni insieme superano di poco il 40 per cento: avremmo un parlamento più rappresentativo della volontà degli elettori. Anche questo, a ben vedere, è un motivo per preferire la legge proporzionale in nome del bene del paese, oltre che per ragioni di tattica politica.

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