Una Nato senza Stati Uniti. L’Ue trovi la sua strada

Ancora tre anni fa chi metteva in dubbio l’utilità della Nato si guadagnava la nomea di ingenuo, velleitario, anti-occidentale. Lasciare l’Alleanza atlantica, poi, era semplicemente escluso: troppo costoso, troppo rischioso. Troppo. Adesso il “Piano di pace” russo-americano per l’Ucraina conferma che la questione è risolta: sono gli Stati Uniti che stanno lasciando l’Alleanza atlantica, a noi europei resta il guscio. Lapsus e intenzioni Lo dimostrano chiaramente i lapsus contenuti nel Piano. Quale che sia la configurazione attuale, in origine il testo affermava (al punto 4) che le questioni tecniche trascinate dal cessate-il-fuoco sarebbe state risolte con un «dialogo tra Russia e Nato mediato dagli Stati Uniti»: dunque gli Usa avrebbero mediato tra Mosca e un’alleanza di cui evidentemente non si sentono più parte. Oppure: «I membri della Nato si impegnano ad agire di concerto con gli Stati Uniti nel rispondere ad ogni violazione” delle clausole sulla sicurezza. Che vuol dire: gli Usa di Trump intendono recitare due pareti in commedia, interni oppure esterni alla Nato a secondo delle convenienze. Che ci considerino meri strumenti della loro politica di potenza risulta chiaramente dalla sezione “economica” del Piano, dove i ruoli erano così distribuiti: gli europei avrebbero pagato la ricostruzione dell’Ucraina e gli Usa ne sarebbero stati i primi beneficiari. Perfino le “garanzie” che Washington offriva alla sicurezza dell’Ucraina figuravano a pagamento. Protezione contro denaro, la formula di un’estorsione. Se poi si aggiunge che il Piano sposava tutti gli obiettivi di Mosca e ignorava tutte le soluzioni tecniche proposte da europei e ucraini, non sorprende che a Berlino all’inizio abbiano sospettato che quel testo fosse un falso, una provocazione. Mai nella storia della Nato Washington si era rivolta agli alleati in un modo così sprezzante, come se li considerasse avversari da mettere a posto umiliandoli pubblicamente. Quando infine gli europei hanno raggiunto la certezza che il Piano, l’avesse materialmente vergato una mano russa oppure americana, esprimeva le propensioni di Putin e di Trump ma non dell’intera amministrazione americana, hanno deciso si nascondere lo sconcerto. Nel solito modo mellifluo ormai canonico nei rapporti con Washington hanno lodato lo sforzo “per la pace’ del presidente americano mentre cercavano di disfare i punti più aggressivi del suo Piano, non senza qualche risultato. Il pensiero nuovo Ma il problema rimane: Trump e la sua corte non si sentono minimamente vincolati ad un’alleanza con gli europei e fanno il possibile per sbattercelo in faccia. Invece noi fingiamo di non capire, in parte per convenienze che nascono da accordi, affari e dall’inconsistenza della Ue, ma soprattutto perché liberarci del luogo comune che vuole gli Usa «nostro primo alleato» (così Meloni) ci costa un enorme disagio. Saremmo costretti a decidere chi siamo e qual è il posto dell’Italia nel mondo. E dovremmo rinunciare ad una comoda illusione, cara perfino agli anti-americani: qualunque cosa accada gli Stati Uniti ci garantirebbero comunque la pace. Così protetti, la storia non potrebbe mai raggiungerci, e con la storia terremmo lontani i conflitti morali irrisolti e talvolta irrisolvibili che fondano la categoria del tragico. Pacifici e tendenzialmente pacifisti, vorremmo continuare a relegare in un remoto Altrove il subbuglio spaventoso di cui è preda il mondo. E anche per questo in Italia la politica estera non risulta dirimente nelle alleanze che strutturano maggioranza e opposizione, altrimenti palesemente incongrue. Eppure sarà sempre più evidente che dall’Ucraina al Medio Oriente passando per nord Africa e per i Balcani, l’interesse italiano e in larga misura europeo spesso non coincide, e talvolta confligge, con l’interesse degli Stati Uniti per come lo configura l’amministrazione Trump. Per esempio: gli europei non hanno alcuna convenienza ad assecondare l’omertà di Washington sull’oscena “pulizia etnica” nella West Bank. Ed anzi si guadagnerebbero un certo credito internazionale se si smarcassero dal fallimentare “Piano di pace” americano per Gaza, con conseguente Partition della Striscia. Insomma occorrerebbe un pensiero nuovo, per il quale risultino bizzarre tanto la costernazione suscitata dalla proposta di Crosetto per la costituzione di una riserva su base volontaria, quanto la tendenza a trasformare militarizzazione e riarmo nell’unico sinonimo di “sicurezza”. Dopotutto se il ponte di Messina viene venduto come necessario alla difesa nazionale, ancor più dovremmo temere come pericolose debolezze strategiche, per esempio, l’incapacità del 37 per cento degli italiani di intendere il significato di un testo breve; o un astensionismo mai seriamente indagato che ormai viaggia intorno al 60 per cento; o la difficoltà di ricostruire un’idea di patria, ottant’anni dopo la Resistenza, salvandola dalle melasse del nazional-popolare televisivo. Invece di combatterci con i vecchi arsenali non sarebbe più proficuo provare a domandarci cosa intendiamo oggi per patriottismo, europeismo, sicurezza, pace?