La storia degli investimenti in Calabria, fanalino di coda dell’Italia un po’ in tutti gli ambiti, ha molto da insegnare al nuovo governo di Mario Draghi, popolato per la gran parte di ministri del nord, che poco conoscono la questione meridionale e ancora meno la particolare e complessa questione calabrese.

In pochi sanno per esempio che lungo la costa jonica calabrese la maggior parte della rete ferroviaria è costituita da un unico binario, percorso da un pezzo di archeologia industriale: la littorina, che consuma tonnellate di carburante. La zona non è ancora stata elettrificata. In Calabria il passato è presente.

La lettorina calabrese sopravviverà anche al grande piano Marshall del 2021, il Recovery da 209 miliardi destinati a cambiare il volto dell’Italia? Forse è l’occasione per dare alla Calabria, regione dello stato italiano, un trasporto pubblico degno di questo nome.

Quando si decideranno come spendere le risorse del Recovery va tenuto a mente anche un altro caso calabrese: la statale jonica 106. Si è guadagnata l’appellativo di strada della morte: collega Reggio Calabria a Taranto, l’unica arteria che serve il lato orientale della regione, una striscia di asfalto che per lo più passa in mezzo ai paesi. Tanto che persino le mappe di Google da Reggio a Taranto suggeriscono di prendere altre vie e non l’omonima statale. Si parla di ammodernamento dal 2001. Qualche tratto qua e là è stato rifatto, a tempo perso. Eppure sarebbe la grande opera che darebbe una scossa all’economia turistica. La 106 è il simbolo di una Calabria lasciata morire, abbandonata a sé stessa e alla ‘ndrangheta, la mafia che in questa terra decide la vita e la morte delle comunità. I clan hanno guadagnato dalle opere incomplete, hanno lucrato sul fatto e sul non fatto. Hanno persino messo le mani su un’opera che esiste solo nelle menti di alcuni politici e tra le più inutile per la Calabria: il ponte sullo Stretto. Il governo per non sbagliare dovrebbe organizzazione una missione a Saline Joniche. E fermarsi di fronte a una ciminiera abbandonata: è lo scheletro della Liquichimica, realizzata con parte dei mille miliardi di lire del pacchetto Colombo. Un mega impianto costruito sulle spiagge bianche negli anni Settanta con i denari piovuti sulla provincia di Reggio Calabria per placare i moti di Reggio diretti dai Boia chi molla. La fabbrica fu realizzata, l’ecosistema devastato, la mafia ingrassata, gli operai assunti: le lavorazioni durarono due giorni, il governo si accorse che era troppo inquinante. La Liquichimica è ancora lì, un ammasso di ferraglia arrugginita cadente. Pochi anni fa un gruppo di investitori del nord stava per realizzare su quel sito una centrale a carbone. La comunità si oppose e vinse. Dalla Liquichimica al carbone, il governo avrà idee più originali per il progresso di questa terra

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