Basta con le sciocche improvvisazioni. Quello di Draghi in politica estera è stato un discorso robusto, senza fronzoli e saldamente ancorato nella nostra tradizione repubblicana: l’Italia si ricordi di essere fondatrice dell’Unione europea e protagonista dell’Alleanza Atlantica. Si rammenti cioè di rimanere “nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili principi e valori”. Ciò significa l’irreversibilità della scelta per l’euro e dell’amicizia con gli USA: un monito severo ai giochetti superficiali della nostra classe politica. Draghi sa  per conoscenza diretta che quello che spaventa di più i mercati e i partner è l’imprevedibilità, la volubilità e l’incertezza.

La visione europea del premier è pragmatica: Stati nazionali laddove sono efficaci; cessione di sovranità all’Europa laddove sono deboli. E le debolezze –sembra dirci- sono tante, troppe, in aumento. Per questa ragione “fuori dall’Europa c’è meno Italia”, non c’è il paradiso ma solo l’oscuro perdersi nei gorghi della globalizzazione selvaggia. La frase chiave è stata: “non c’è sovranità nella solitudine”. Questo vale nei confronti dell’Europa ma anche nei confronti dell’Alleanza Atlantica. Da soli non si va da nessuna parte: exit sovranismo cieco e stolido. Salvini è avvisato.

Allargando lo sguardo oltre gli ancoraggi storici (Unione europea, Alleanza Atlantica e Nazioni Unite) scelti nel dopoguerra, Draghi ha ribadito la vocazione italiana al multilateralismo: le questioni mondiali si discutono assieme e per consenso. Una sottolineatura alla rinnovata amicizia con gli USA, che per Draghi è un punto fermo, e un accenno alle preoccupazioni per la Cina. Resta il fatto che il ruolo italiano nelle Nazioni Unite è essenziale. Anche qui il premier pare dirci: basta con le lamentele e le critiche all’ONU! Senza Nazioni Unite si starebbe peggio. E’ la posizione tradizionale dell’Italia repubblicana e della nostra diplomazia. Con tali strumenti l’Italia deve rivolgersi alle aree di suo interesse prioritario che sono tutte in disordine: Balcani, Mediterraneo e Africa. Draghi auspica “uno scambio più intenso” senza precisare come, marcando la necessità di dialogo tra Unione europea e Turchia (partner e alleato NATO), e con la Russia.

Sono i due punti deboli della strategia europea attuale, laddove Germania, Francia e Italia si dividono e che rendono difficile la soluzione delle crisi mediorientali. Sarà questa la sfida più complessa per il nuovo governo. Su quali basi attuare fruttuosamente il dialogo nel Mediterraneo orientale, in Medio Oriente e nell’est europeo? Sui principi e valori? (peraltro nessuna citazione di Regeni). Sugli interessi economici? Su quelli strategici di stabilità e difesa? I dossier di Libia, Siria, Mediterraneo orientale, migrazioni, Ucraina e Crimea, Egeo e Cipro, Caucaso, Sahel ecc. sono aperti davanti a noi. Tunisia e Libano hanno necessità di una reale partnership italo-francese. La mediazione tra Grecia e Turchia è ferma. La guerra dei tubi prosegue, opponendo nord e sud. L’ISIS rinasce e i conflitti mediorientali non finiscono. Si spera che questo governo non tralasci tali difficili sfide da cui dipende la nostra reputazione all’estero. Fino ad ora siamo stati volubili e soprattutto troppo discontinui. Sarebbe stato auspicabile da parte del premier inserire qui il ruolo della cooperazione allo sviluppo e del suo apporto in tale quadro.

Sappiamo che i nodi di politica estera sono complicati e i protagonisti agguerriti. E’ necessario dedicarci pensiero e mezzi (in persone e risorse) per essere presenti e giocare il nostro ruolo, smettendo di nasconderci con la scusa che abbiamo problemi interni. Chi non ne ha? 

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