Una studentessa universitaria è nata e vive da sempre in un comune che si trova a un’ora di treno dalla grande città dove studia. Per semplicità chiameremo la grande città “Milano”, anche se questo non è un articolo su Milano. Un’ora di treno non è poi molto.

Ogni mattina si sveglia presto (come del resto fanno tanti lavoratori pendolari), si prepara, prende la bicicletta e va in stazione. La stazione si trova a un quarto d’ora di bicicletta da casa sua. Un quarto d’ora non è poi molto.

Aspetta il treno, nel frattempo si guarda in giro, pensa ai fatti suoi, ascolta una canzone che le piace anche se è un po’ volgare. In inverno fa molto freddo, in estate molto caldo, però pazienza, lei è giovane. E ogni tanto il treno arriva in ritardo: questo, in effetti, può essere seccante. Ma insomma, niente di esagerato. Dieci, quindici minuti. Questi minuti non sono poi molti.

Sale sul treno, prende posto, evita accuratamente di sedersi accanto ai maniaci (che ci sono anche di prima mattina, ma va detto che questi maniaci non sono poi molti). Arriva a Milano, prende la metropolitana per arrivare in università. Considerato tutto, ci vogliono altri venti minuti (che, come ormai avrete capito, non sono poi molti).

Raggiunge l’aula di corsa, perché in effetti è in ritardo (ma poco, davvero poco, o almeno non poi molto). Si siede, purtroppo l’aula è già piena, per cui si ritrova lontana dal professore, il che le dà fastidio, sia perché lei è molto miope, sia perché sa che il professore all’esame dà sempre uno o due punti in più alle facce che riconosce come devote. In ogni caso, la giornata ora inizia davvero. E la ragazza vive la sua giornata, davvero: è socievole, studiosa, ha molti amici, queste ore in università sono formative e allegre, niente di brutto da segnalare.

Nel pomeriggio i corsi finiscono. Molti studenti che vivono a Milano (perché sono nati lì o perché i loro genitori pagano per loro una costosa stanza in un appartamento) si fermano a studiare in biblioteca. Lei non può, deve andare a casa. A dirla tutta è un po’ stanca, non tanto, ma un po’ sì. E soprattutto sa che di fronte a sé ha venti minuti di metropolitana, l’attesa del treno, poi un’ora di treno e un quarto d’ora di bicicletta. Non è poi molto, anche se, detta così, in effetti non sembra neanche poco.

Una volta, però, la ragazza si ferma dopo le lezioni per andare a studiare in biblioteca. Il fatto è che è curiosa, e soprattutto è stufa di vedere gli altri che ci vanno, di vederli con l’aria spensierata di chi custodisce un mistero piccolo e leggero: il mistero della vita accanto all’università. Per fermarsi in biblioteca dovrà poi prendere il treno tardi, nell’ora in cui i maniaci non sono più così pochi, a dirla tutta. Però lo fa.

Si ferma a studiare, e lì scopre un mondo: gli studenti si aiutano, fanno la pausa insieme, escono a fumare e in quei minuti si passano informazioni cruciali sugli esami, discutono delle cose che stanno studiando, dei pettegolezzi, e tutto va veloce, a volte si parla di politica, di economia, di libri, di problemi e di soluzioni. Non solo. Si discute di cosa vorresti fare poi, nella vita. Un ragazzo quel giorno dice che bisogna assolutamente andare a un certo seminario alle sette di sera: è interessantissimo.

Un altro dice che una grossa azienda straniera ha organizzato, fra una settimana, un aperitivo per conoscere gli studenti che hanno la media dei voti dal 28 in su. L’aperitivo è sul tardi. In centro a Milano. La ragazza ha la media superiore al 28 (per essere precisi, la sua media sfiora il 30). Se non si fosse fermata in biblioteca non l’avrebbe scoperto.

L’università, quella volta, le pare un luogo meraviglioso. Un luogo che non aveva mai visto, o anche solo immaginato. Un punto di partenza per altri mille sentieri. Lo studio, e soprattutto il suo intero futuro, potrebbero essere molto più facili, più interessanti, più ricchi. Non si sente incredibilmente sfortunata rispetto ai suoi compagni che vivono lì, questo perché lei si sforza sempre di non avere una visione negativa delle cose. Però, a tratti, ma è una questione di istanti, deve ammettere di non sentirsi altrettanto fortunata.

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