Il mondo della cultura vive una fase difficile: musei, mostre, cinema e teatri restano chiusi per un periodo imprecisato; dall’altro artisti, autori, interpreti, esecutori, tecnici, professionisti rimangono disoccupati e con poche protezioni.

Non tutto il settore è in queste condizioni: televisione, serialità, piattaforme digitali guadagnano terreno e in larga parte la crescita beneficia soggetti del mondo digitale, imprese globali di cui nessuna è nativa italiana.

Qualcuno sospetta che dopo l’emergenza epidemica i visitatori e gli spettatori non torneranno a frequentare le manifestazioni culturali come prima. Un disastro da evitare, dato che il consumo culturale degli italiani per questo tipo di attività è già tra i più bassi tra i paesi europei: nel 2015, la partecipazione culturale in Italia raggiungeva il 46,9 per cento contro una media del 63,7 per cento dei paesi EU-28 (Eurostat).

Mentre il governo mette a punto il Piano Next Generation EU, Giovanna Melandri, Presidente della Fondazione MAXXI, avanza la proposta di agire sulla leva fiscale rendendo deducibili nel calcolo dell’imposta sul reddito delle persone fisiche le spese di accesso (ticket, abbonamenti) ai teatri, ai cinema, ai musei, ecc.

Ai cittadini storditi dalla crisi economica e dalla paura del contagio si offre la possibilità di una riduzione generalizzata dei costi di accesso al fine di creare un circolo virtuoso dove la crescita indotta dalla riduzione d’imposta potrebbe più che compensare la riduzione del gettito fiscale e generare processi di sviluppo.

In altri tempi analoghe proposte non hanno mai superato le resistenze del ministero per i beni e le Attività Culturali (Mibact), alla costante ricerca di risorse in conto capitale rivolte al contrasto del degrado fisico dei beni culturali, e del ministero dell’Economia (Mef), sospettoso verso qualunque iniziativa che potesse contribuire alla crescita del debito pubblico.

Ho fatto parte nel 2006 di una Commissione paritetica Mibact-Mef che aveva lo scopo di proporre linee guida per modernizzare il settore culturale senza incidere negativamente sui “saldi netti di bilancio pubblico”.

 In quell’occasione esperti di economia della cultura e del fisco si confrontarono a lungo e stilarono una serie di proposte, inclusa quella che oggi propone Melandri: un incentivo fiscale per lo stimolo della domanda di cultura del cittadino. Ma gli esperti del Mef stimarono l’impatto sui saldi netti e sebbene per un’inezia la proposta fu seccamente respinta.

Il ministro dei Beni culturali, Francesco Rutelli, non seppellì il lavoro e sottopose il documento in sede di formulazione della legge finanziaria del 2007.

Il ministro per le Politiche giovanili e Attività sportive propose lo stesso stimolo fiscale a favore della pratica sportiva, per i giovani sotto i 18 anni. Era Giovanna Melandri che aveva raccolto l’idea, l’aveva fatta propria e l’aveva riconnessa ad altri bisogni fondamentali come lo sport. Rutelli, invece, scelse la via più tradizionale e chiese ed ottenne un piccolo aumento delle risorse in conto capitale giunte allora al livello più basso segnato da decenni.

Dunque da 14 anni si pratica l’incentivo fiscale allo sport che nessuno ha messo mai in discussione. Ha senso proporre lo stesso stimolo per la cultura?

Secondo me si: dobbiamo intervenire a lenire il distacco e la paura che la collettività proverà verso la partecipazione a iniziative aperte al pubblico con la fine dell’epidemia. Bisogna agire subito e penso che sia utile tradurre, anche solo in parte, quella dote di 209 miliardi di euro del piano europeo in misure che agevolino le attività culturali.

Un incentivo di questo tipo è anche utile per stimolare l’azione quotidiana delle istituzioni culturali perché dovranno agire anche in base alle preferenze e gli interessi dei cittadini, riducendo l’autoreferenzialità di cui sono spesso accusate.

Non basterà, ma in un menù assortito per riportare il paese su un sentiero di crescita, anche le misure dal lato della domanda possono essere utili al contrasto della povertà educativa e culturale e per radicare nei cittadini italiani la loro comune eredità europea.

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