- La campagna vaccinale, che fatica a tutelare le fasce più vulnerabili nella popolazione e a rispondere a criteri di giustizia, solleva interrogativi etici. Per molti la questione non è se vaccinarsi o no, ma è: ora o dopo, io o un altro?
- Porre questioni simili contribuisce a ragionare di politiche sanitarie in termini di equità e a denunciare le ingiustizie del sistema. Ma la partecipazione alla campagna vaccinale deve essere vissuta come l’accettazione o il rifiuto di un privilegio?
- La sconfitta la virus Sars-Cov-2 dipende dal carattere di massa della campagna di vaccinazione. Il punto è ragionare in termini collettivi e non individuali. Vaccinarsi è un diritto, ma anche un dovere.
Ho trent’anni, sono un dottorando in buona salute: è giusto che mi vaccini prima di mia nonna? Sono anziana ma posso vivere riparata, non dovrei lasciare il posto alla madre di un ragazzo disabile o a un paziente oncologico? Domande come queste si leggono sui social, si sentono tra amici, si orecchiano per strada. In Italia la campagna vaccinale, partita tra ritardi ed errori, in un contesto di scarsità di forniture e indicazioni diverse per tipologie di vaccini, fatica non solo a soddisfare



