È inutile girarci intorno, nello sgomitamento per aggiudicarsi le poche dosi di vaccino disponibili è l'Italia delle corporazioni a dare il peggio di sé. Ogni categoria si autoproclama la più a rischio, la più meritevole di tutela. Lo spettacolo peggiore, spiace dirlo, lo sta dando la casta dei giornalisti a cui sono obbligate ad appartenere, da una legge di impronta fascista, anche le persone che producono questo giornale. Ma anche avvocati, magistrati, poliziotti e professori universitari non scherzano.

Tutti rivendicano di essere indomiti combattenti che ogni giorno rischiano la vita per garantire servizi pubblici essenziali, magari in smart working. E quindi chiedono di essere vaccinati prima, con una distorsione mentale che va oltre il semplice egoismo e irrompe negli ampi spazi aperti della stupidità: per quale astrusa ragione dovremmo credere che un giornalista o un avvocato siano più a rischio di un operaio in catena di montaggio o del cassiere di un supermercato? Semplice: non esiste l'ordine degli operai né quello dei cassieri.

Il meccanismo è pazzesco. Siccome sono le regioni a decidere chi vaccinare prima, ogni corporazione regionale rivolge la sua supplica all'amministrazione di riferimento che, magnanima, decide o promette. Naturalmente il privilegio si estende a tutti gli appartenenti alla casta, qualunque cosa facciano. Per esempio la Toscana ha deciso di dare la precedenza (tra gli altri) agli avvocati, e così l'assessore regionale all'Agricoltura Stefania Saccardi è corsa a farsi vaccinare in quanto "iscritta all'ordine degli avvocati dal 1989". Nel frattempo la Camera penale di Milano, la rappresentanza degli avvocati, fa eccezione e fa esplodere l'imbarazzo della categoria, contestando la priorità assegnata agli operatori della giustizia e chiedendo che prima di avvocati a magistrati si vaccinino i carcerati e la polizia penitenziaria.

Il vaccino corporativo

Tra i giornalisti solo l'ordine regionale del Lazio, a quanto si sa, si è chiamato fuori dalla riffa del vaccino corporativo. I giornalisti della Campania hanno chiesto e ottenuto la loro promessa, i giornalisti della Sicilia pure, nelle Marche l'assessore alla Sanità Filippo Saltamartini ha detto di aver chiesto al ministero della Salute «l'autorizzazione a vaccinare i dipendenti comunali, i sacerdoti, il personale delle agenzie funebri, gli avvocati e anche i giornalisti». E anche qui c'è di che trasalire.

In quale paese normale il diritto di un cittadino a essere vaccinato prima degli altri dipende dall'umore locale del suo ordine professionale di appartenenza e magari dai buoni rapporti intercorrenti tra la sua corporazione e il governo regionale? Non stiamo parlando di un panettone omaggio ma di una cosa che, visto il tono apocalittico dei tribuni del privilegio, separa la vita e la morte. Eppure non c'è stato e non c’è legge. Macché: chi vive e chi muore lo decidono i rapporti di forza tra le lobby.

L'Italia delle corporazioni funziona così. Il presidente dell'ordine dei giornalisti del Molise Vincenzo Cimino, ha scritto ieri una lettera alla regione in cui chiede, per i suoi 700 iscritti, sole 200 dosi di vaccino perché si limita a "pretendere" (testuale) il vaccino per i giornalisti che lo fanno come attività esclusiva, cioè "professionisti e pubblicisti contrattualizzati". Che ci siano giornalisti che lavorano rischiando di contagiarsi  è evidente. Però i vertici della corporazione dovrebbero dichiarare quanti sono davvero, degli oltre 100mila iscritti all'ordine, i soggetti a rischio. Chi fa questo mestiere lo sa: forse un migliaio, l'uno per cento. Sarebbe anche interessante sapere quanti – tra quei ragazzi che vanno a fare a spintoni negli assembramenti in cui ci si contende l'ultima frase storica del politico di passaggio – sono contrattualizzati e a quanti invece, precari pagati pochi euro ad articolo, sarà negato il vaccino prioritario perché non in regola. E a quelli che reggono la telecamera e non sono iscritti all'ordine chi ci pensa? Nessuno, naturalmente, perché la loro vita vale poco, tutt’al più quanto quella di un operaio o di un cassiere del supermercato.

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