Esattamente un anno dopo il primo lockdown, l’Italia e quasi l’intera Europa sono ritornati al punto di partenza. Il lockdown è un po’ meno rigido, la paura molto inferiore, perché ci siamo ormai abituati alle centinaia di morti giornalieri nel nostro e negli altri paesi; ma alla paura si è sostituita la sfiducia, e la morsa della crisi economica, sociale e psicologica che investe l’intera società.

Questo triste anniversario ha visto un fiorire di articoli e interviste sulle lezioni che questo anno ci ha dato e sulle sue future conseguenze. Spesso questi articoli sono un susseguirsi di ovvietà, anche da parte di persone considerate esperte, ma pochi fanno notare che la lezione più importante è quella che ha dato l’altra metà del mondo: l’Asia. Che ha pagato un costo umano ed economico assai inferiore, e non perché si tratta di dittature, o perché sono diversi da noi, o per tutta una serie di motivi citati in modo infondato, visto che un paese di cultura anglosassone come l’Australia ha ottenuto gli stessi risultati dei paesi asiatici. Semplicemente tutti questi paesi hanno seguito un metodo che ha permesso questo risultato: cioè un tracciamento sistematico e un controllo di tutti i focolai attraverso chiusure rigide, localizzate e veloci.

Una parola abusata

Ancor più grave oggi è che nessuno ricordi quante volte la parola tracciamento sia stata usata anche in Europa, ma usata a vanvera, senza mai spiegare come realizzarlo e quali risultati positivi questo approccio avrebbe avuto. Nessuno ha avuto il coraggio di riconoscere come siano state “vendute” ripetutamente all’opinione pubblica aspettative infondate: cioè che, dopo i sacrifici, sarebbe venuto un miglioramento duraturo. Mentre è evidente che la crescita dei contagi è funzione del numero delle interazioni tra le persone, e che quindi ogni chiusura che non sia seguita da un rigido tracciamento viene rapidamente vanificata. Non è sorprendente che i vari opinion leader di questo anno e i media non lo riconoscano, perché vorrebbe dire che stanno puntando l’indice della colpevolezza verso sé stessi.

Ora giustamente l’attenzione è tutta sui vaccini, ma non viene detto chiaramente che i vaccini non saranno la soluzione definitiva, sia perché rimarrà un discreto numero di non vaccinati (per scelta volontaria o perché sotto i 18 anni), sia perché i vaccini non hanno un tasso di efficacia totale. Certo vedremo un grande miglioramento, il crollo dei casi in Israele è un chiaro indice, ma gli stessi dati indicano che, nonostante il 60 per cento della popolazione di Israele sia stata vaccinata, rimane un livello endemico di casi e di morti.

E ancora una volta i paesi che hanno organizzato un forte servizio di tracciamento e intervento sui focolai riusciranno a ottenere risultati migliori e probabilmente ad arrivare prima di noi alla soppressione del virus.

Argomenti tabù

Ancora una volta manca una discussione approfondita sulla gestione dei vaccini e del futuro. Parlare di obbligatorietà dei vaccini è diventato un argomento tabù; ma perché non ci chiediamo come mai altre malattie come la poliomielite e la tubercolosi sono state sconfitte proprio con l’obbligatorietà dei vaccini? Perché non discutere apertamente se sia davvero libertà, di una chiara minoranza, il rallentamento della soluzione della pandemia e quindi violare la libertà degli altri, creando un danno sociale ed economico ancor più grave? È proprio di questi giorni la notizia che in un ospedale genovese si è creato un focolaio perché un’infermiera non si è vaccinata.

Occorrerebbe chiarire fin da subito che chi non si vaccinerà vedrà le sue libertà limitate per non danneggiare gli altri: la limitazione all’accesso a luoghi pubblici; diverse precauzioni nel mondo del lavoro e altri tipi di differenziazione devono essere pensati per chi non si vaccina.

In altri paesi si sta preparando il futuro. Per esempio in Israele non sarà protetta dalla privacy l’informazione su chi non si sarà vaccinato e si stanno preparando leggi che limitano i diritti delle persone non vaccinate anche nel mondo del lavoro. Perché le associazioni degli imprenditori e i sindacati tacciono su questi temi? In passato hanno, anche giustamente, chiesto aiuti e protezioni; ora è il momento di contribuire e di incentivare le scelte giuste per l’intera società.

Solo alcuni decenni fa l’obbligo del vaccino di malattie contagiose e quindi socialmente pericolose è stato accettato senza particolari discussioni. Ora è politicamente scorretto solo il parlarne. Dobbiamo interrogarci sul perché una piccola minoranza mette in scacco l’intero mondo occidentale e intimorisce uomini politici, scienziati, opinion leader e media, che preferiscono non affrontare questi argomenti.

Il “cambio di passo” del nuovo governo non deve essere misurato, come si sta facendo, sul colore delle zone o sui criteri del lockdown, ma sulla capacità di preparare il futuro e di spiegarlo ai cittadini.

Questo secolo verrà certamente ricordato per la pandemia, ma verrà anche ricordato come il naufragio del mondo occidentale e dell’Europa in particolare che è stata la culla della razionalità e del metodo scientifico e che ora li ha totalmente rinnegati. Gli storici futuri ne parleranno a lungo.

 

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