Un uomo solo non può salvare un paese intero, neppure se quell’uomo è Mario Draghi. Ma un presidente del Consiglio sostenuto dalla più vasta maggioranza di sempre può avere la legittima ambizione di imporre un metodo di lavoro.

Nel lungo discorso della fiducia in Senato del nuovo premier ci sono tante cose, accomunate da un approccio trasversale: si identificano valori di fondo ben chiari dai quali discendono gli obiettivi generali delle politiche, poi si analizza la situazione sulla base di dati precisi, si individuano le possibili politiche di intervento e si sceglie quella coerente con gli obiettivi da raggiungere.

Un’applicazione di questo metodo Draghi è al mondo del lavoro: la pandemia ha colpito tutta l’economia (4 milioni di ore di cassa integrazione tra aprile e dicembre 2020) ma con impatti differenziati, donne e giovani, specie se con contratti a tempo determinato, hanno subìto le conseguenze peggiori.

Nel 2020 gli occupati si sono ridotti di 444mila unità, ma i contratti a termine sono diminuiti di 393mila e gli autonomi di 209mila. Date queste premesse, ne discende inevitabilmente che ogni intervento di protezione sociale deve concentrarsi su queste categorie e non su quelle meno colpite. Tradotto: limitarsi a prolungare il blocco dei licenziamenti come è ora aggraverebbe questa ingiusta ripartizione del costo della crisi.

Il linguaggio di Draghi

Per interagire con Draghi, par di capire, bisognerà parlare il suo stesso linguaggio. Adeguarsi al suo metodo. Dove ci sono i dati si usano, perché le decisioni prese senza dati alla base sono soltanto ideologiche, dunque possono essere imposte a colpi di maggioranza ma senza possibilità di sintesi tra visioni opposte.

Per questo Draghi sembra voler dare priorità alle materie e agli interventi con un punto di partenza e di arrivo misurabili: anche gli interventi di messa in sicurezza del territorio e manutenzione delle opere, per esempio, devono essere fatti sulla base “dei più recenti sviluppi in tema di Intelligenza artificiale e tecnologie digitali”.

Non tutti gli interventi sono uguali, soldi, tempo ed energie devono essere indirizzati dove possono ottenere il risultato più coerente con gli obiettivi da raggiungere. L’opposto della logica con cui sono state finanziate impegnative politiche del governo Conte2, dal cashback al superbonus edilizio, che distribuiscono miliardi a pioggia e misurano il proprio successo semplicemente dal numero di persone che usufruisce dell’incentivo, invece che considerare se l’incentivo modifica i comportamenti nel senso desiderato.

Questo significa applicare una qualche forma di analisi costi e benefici ogni volta che è possibile, anche e soprattutto al Recovery Plan: basterebbe questa promessa a marcare la differenza con il keynesismo da bar del governo Conte, in base al quale ogni spesa pubblica è buona spesa.

Draghi ha ben chiaro che anche in un mondo di risorse virtualmente illimitate come quello attuale – 209 miliardi europei, tassi di mercato sul debito vicini allo zero – il concetto di costo opportunità rimane: i soldi, il tempo e il capitale politico impegnato su un progetto non sono stati usati per uno alternativo. «Ogni spreco oggi è un torto che facciamo alle prossime generazioni, una sottrazione dei loro diritti», dice Draghi.

Il problema della complessità

Ora, questo approccio ha un limite: la politica, e la comunicazione politica della stagione populista in particolare, vive di semplificazione. Il metodo Draghi non nega la complessità e cerca di renderla digeribile a tutti, ma comunque si tratta di citare dati, percentuali e concetti controintuitivi. Il premier ha nominato perfino l’indice di Gini per parlare di disuguaglianza.

In alcuni casi la complessità può diventare eccessiva per le normali dinamiche del dibattito politico e dunque – sostiene Draghi – lo sforzo di sintesi va esternalizzato ai tecnici: è il caso della riforma del fisco. Come sa qualunque economista, praticamente tutte le tasse sono distorsive, e influenzano i comportamenti individuali e collettivi, di consumo, di investimento e perfino le scelte se e quanto lavorare.

Dunque ha un senso che vengano modificate tutte insieme, ma poiché i politici sarebbero soggetti a troppe pressioni dei loro elettorati o lobby di riferimento, Draghi suggerisce di lasciare il lavoro a una commissione di esperti.

La condivisione di fondo

Tutto questo è possibile soltanto a una condizione: che le forze politiche siano d’accordo sull’obiettivo che gli esperti devono raggiungere. Per questo Draghi ha fatto un discorso che non è soltanto di metodo ma anche di valori. Passaggio dall’economia pre Covid a quella post Covid senza affidarsi alla mera distruzione creatrice del mercato ma con il tentativo di minimizzare i costi sociali (ed economici) in una prospettiva di equità anche intergenerazionale, non basta cioè spostare il costo della fase di aggiustamento sul futuro o sui meno garantiti.

Una volta ottenuta la fiducia su questa cornice politica, nessuno potrà opporsi ad affidare al premier o alle commissioni di esperti l’elaborazione degli strumenti tecnici più adatti allo scopo.

Questo è il metodo Draghi presentato ieri. Che poi riesca a imbrigliare il dilettantismo e la miopia dei partiti che sostengono il nuovo governo è tutto da vedere.

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