I verdi hanno avuto una storia travagliata in Italia. I primi vagiti di una presenza organizzata, al di là del tradizionale conservatorismo pur nobilissimo attestato, tra l’altro, le meritorie battaglie di Antonio Cederna e di Italia Nostra, si levano all’inizio degli anni Ottanta. Già allora si delineano due tendenza che hanno percorso tutta la storia dei verdi, in alchimie diverse, e che troviamo ancora oggi, sintetizzata nell’efficace immagine del cocomero: verdi fuori e rossi dentro. Il primo nucleo dell’ecologismo italiano si dedicava prevalentemente alla difesa della natura tout court e si disinteressava di ogni altro argomento che non riguardasse l’aspetto protezionista-conservazionista, pur includendo questioni più ampie come, sopra ogni altra, l’energia nucleare.

La battaglia sul nucleare

L’opposizione alle centrali nucleari cementa tutte le varie anime di quel mondo e il famoso logo del “sole che ride” accompagnato dalla scritta, “nucleare, no grazie”, diventa l’emblema del movimento verde internazionale. È infatti proprio l’incidente nucleare di Chernobyl nell’aprile del 1986 a fornire la spinta decisiva alla costruzione di un soggetto politico verde. 

Già l’anno prima i verdi erano scesi nell’arena politica, sospinti con molta decisione dai radicali di Marco Pannella a presentarsi alle elezioni regionali e amministrative del 1985. E proprio per convincere coloro che erano reticenti a una politicizzazione così diretta, tra cui anche la personalità più rilevante di quel mondo, Alex Langer, perplesso nel (ri)entrare in logiche politiche da cui si era allontanato, i radicali cedettero ai verdi il simbolo del sole che ride di cui avevano acquisito la proprietà.

Ad ogni modo, la vittoria nel referendum sul nucleare, promosso dopo l’incidente di Cernobyl, sembra proiettare i verdi verso un futuro radicoso, sulla scia di quanto sta accadendo negli altri paesi europei, Germania in testa. Invece il risultato alle elezioni politiche del 1987 (2,5 per cento) non conforta più di tanto i verdi e apre il dibattito sull’integrazione delle tematiche ambientaliste, latu sensu, con una agenda post-materiliasta indirizzata ai diritti civili, dall’uguaglianza di genere  alla liberazione sessuale, dalla visione di una società non gerarchizzata all’antimilitarismo, dalla mobilità sostenibile (già allora) ad una politica diretta, non violenta e non burocratica.

Una parte dei verdi, soprattutto di provenienza radicale, più qualche esponete dell’ex nuova sinistra, propone una approccio politicamente più articolato, anche grazie la fatto che il partito radicale si è ormai sottratto, pur con qualche ambiguità, dalla competizione elettorale.

La discesa

Questo dibattito interno provoca alcune frizioni, tanto che la costola più politica presenta una propria lista alle europee del 1989 portando le due liste verdi al 6,2 per cento, un tetto non più superato; ma dopo qualche mese la scissione rientra. I verdi non riescono però a sfondare il tetto di cristallo dei piccoli numeri.

Nemmeno il successo di uno dei loro leader, Francesco Rutelli, nelle prime elezioni dirette del sindaco a Roma (dicembre 1993) e l’ingresso nei primi governi di centrosinistra con un ministro dell’Ambiente e sottosegretari impegnati su vari fronti, dalla giustizia alle politiche sociali, rilanciano il partito.

Anzi, i magri risultati elettorali acuiscono le tensioni interne lunga la tradizionale linea di faglia, emarginando la componente più politica. Inizia così una discesa agli inferi del movimento verde, incapace di offrire proposte e visioni chiare e di presentare una classe dirigente visibile e affidabile.

Per certi aspetti le vicende dei verdi italiani ricordano, in piccolo, quelle francesi. Anche i transalpini sono stati travagliati da infinite scissioni e conflitti irriducibili (però hanno anche goduto di ottimi risultati elettorali come quello alle comunali del 2020) .

Le variegate alleanze con cui i verdi italiani hanno cercato di rilanciarsi nell’arena elettorale sono sempre naufragate negli ultimi vent’anni. Le loro difficoltà sono anche legate alla concorrenza sul terreno ambientalista esercitata dal Movimento 5 stelle.

Il partito di Grillo nasce proprio su tematiche ambientali e in questi anni ha sottratto ogni spazio ai residui rappresentanti dei verdi. Ora che il M5s è entrato in una crisi verticale si aprono inedite prospettive a chi raccolga le domande del mondo ecologista. E a maggior ragione se invece di impastare l’ambientalismo con l’antipolitica, come ha fatto Grillo, lo si coniuga con un moderno riformismo radicale sul piano sociale. 

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