Voltafaccia, accuse, veleni. A Parigi c'è un clima da basso impero

Parafrasando il titolo di un famoso film di Troisi, il presidente Emmanuel Macron ricomincia da cinque visto che Sebastien Lecornu, rinominato primo ministro nel giro fulmineo di pochi giorni, è il quinto premier in meno di due anni cui viene affidato il compito di tentare la composizione di un governo e resistere per il bene del paese. In effetti nella V Repubblica è ripetuta la prassi per la quale il presidente utilizza il primo ministro come un parafulmine per mantenere intatti o poco incrinati la sua immagine e il consenso dei cittadini, nel gioco dell’esecutivo diarchico proprio del sistema francese. Questo però funziona a maggioranze unite, ossia nella consonanza fra quella presidenziale e quella parlamentare; non più se le maggioranze sono opposte quando il presidente è costretto alla cohabitation, cioè a nominare un premier avverso che esprime la maggioranza parlamentare. Gli esempi storici sono quello di Mitterrand, primo a sperimentarla due volte (nel 1986 con Chirac e nel 1993 con Balladur), e quello di Chirac, divenuto poi presidente, con Lionel Jospin, in seguito ad una vittoria netta delle sinistre unite (1997-2002). Francia, la “missione breve” del Lecornu-bis. Per superare la sfiducia serve un miracolo Il caso presente di Macron è molto diverso: egli ha perduto la maggioranza assoluta ma ha quella relativa, cosa che avrebbe dovuto comportare grande capacità di mediazione da parte del presidente nel gioco parlamentare, il riconoscimento del peso delle due opposizioni, l’abbandono quindi della sua idea di presidente jupiterien che lo ha connotato dalla sua ascesa all’Eliseo e che ora gli ha scavato il vuoto attorno. Nella crisi attuale che è, ripeto, di sistema, gioca un suo ruolo anche la sua personalità e la convinzione che la realtà possa essere soppiantata dalla parola, dalla professione di buone intenzioni o dalla autocelebrazione, cosa questa non rara nella comunicazione di alcuni leader, come testimonia ad esempio in Italia la retorica vittimistica, poi minacciosa, urlata fino alla sguaiatezza, della presidente del Consiglio Giorgia Meloni. Alla destra serve un nuovo racconto, Parigi “plasmata” dai soldi di Stérin La realtà in effetti, pur manipolata da un sistema mediatico invasivo, pur appannata dal fiume di enunciazioni in cui l’enunciato svanisce, si prende prima o poi la sua rivincita, per fortuna, sbuca all’improvviso ed impone una resa dei conti. Ora Macron è “a Dio spiacente ed a’ nemici sui” inseguito da vespe e mosconi, come Dante dice a proposito degli ignavi. Le opposizioni tuonano e promettono di non votare la fiducia a Lecornu: la Le Pen si opporrà a qualunque governo diretto da un macronista, la sinistra estrema vuole la destituzione del presidente; la destra neogollista sempre più si avvicina alla destra estrema. I vecchi sodali come i suoi ex ministri propongono che si vada a nuove elezioni presidenziali; la Borne, la più consapevole, consiglia al primo ministro di aprire alla sinistra, di congelare la vituperata riforma delle pensioni tanto per cominciare; Attal, presidente del partito di Macron, gli rimprovera di «accanirsi a voler tenere la mano su tutto» e non capisce come egli si ostini a non riconoscere un mutamento che è sotto gli occhi di tutti. Insomma regna un clima da basso impero, cioè il declinare di un sistema che ha del tutto esaurito la sua forza propulsiva, con voltafaccia, accuse reciproche, veleni sussurrati nei corridoi delle segreterie di partito. Parigi si rassegni: solo l’arte della coalizione porterà la Francia fuori dal caos Nottetempo Lecornu ha formato il nuovo esecutivo che ripropone 12 dei ministri del suo primo effimero governo e alcuni già ministri in altri governi. I restanti sono nomi significativi della società civile pour epater la bourgeoisie, cioè troppo poco per placare le ire della sinistra estrema, la ostilità tenace della destra estrema, la volontà del Ps di non votare la fiducia. Lecournu2 sembra un duplicato del primo, tutto sbilanciato a destra e un melange malriuscito di continuità e innovazione. Ma come si pensa di far credere così ad un cambiamento? In Francia, dopo la prima elezione di Macron, è uscito un saggio a più mani lucido e provocatorio, Croire et faire croire. Esso analizza le strategie politiche per ottenere il consenso, il credere appunto: dopo il primato delle religioni, poi quello delle ideologie come religioni laiche e poi il loro declinare in una realtà trasformata, si è passati a strategie più sottili che puntano al far credere come a credere attraverso la frammentazione e la disseminazione di ciò che prima erano state le ideologie, con innesti che fanno posto ad ambiguità ed esibito pragmatismo. Non solo Macron. È la crisi sistemica della Francia Gli esempi di ciò sono presenti in molte delle nostre democrazie. Su questo bisognerebbe riflettere per capire attraverso quali modalità si realizza il credere, come si nutre l’immaginario sociale, come può essere riorientato in maniera costruttiva schivando le sirene dei nuovi persuasori populisti e non. La politica deve tornare a parlare il linguaggio proprio, non minacciare o pronunciare proclami, deve capire la società nel suo battito che muta e non evocare il popolo, questo sconosciuto.