Il risultato delle elezioni regionali va analizzato più a fondo, non solo per il risultato in sé, ma perché ha creato nella pubblica opinione una coscienza nuova. La destra può essere battuta. È quello che avevamo sostenuto. La destra non è invincibile, è anzi debolissima. Questa improvvisa consapevolezza cambierà l’orientamento della campagna per le europee. Non sarà una cavalcata semplice e senza ostacoli, ma si apre la possibilità che si metta in moto il recupero dell’astensionismo, almeno di quello legato a una visione pessimistica delle prospettive della sinistra e del paese.

Negli scorsi giorni la presidente del Consiglio si è rivelata per quello che è: una politica furba, che sa inserirsi nelle situazioni contingenti. Ma senza la prospettiva: perché la sua prospettiva è semplicemente il cambiamento di collocazione opportunistico. Ha una visione autoritaria, di comando. Ora si sfurierà sulle questioni istituzionali, cosa che già minaccia di fare.

Lo scontro istituzionale

Perché il vero scontro politico in Italia è lo scontro istituzionale tra Palazzo Chigi e il Quirinale. Il presidente della Repubblica ha compiuto un atto coraggioso: ha sollevato la questione dell’uso della polizia come strumento di intervento repressivo della libertà di manifestazione dei cittadini. Un intervento impeccabile, che ha rivelato la tendenza autoritaria di Meloni. Che ha reagito come tutti i furbi che si rendono conto di non aver colto l’attimo: cercherà di vendicarsi, anche sapendo che non può portare a termine un mutamento istituzionale vincente sul piano non solo della decisione parlamentare ma anche di quella referendaria (perché nessuna modifica costituzionale radicale sarà possibile senza il ricorso referendario).

Lei ci proverà, perché ormai il premierato è l’unico elemento che tiene unita la destra: le lacerazioni nella maggioranza andranno sempre più accentuandosi. Tanto più da qui a giugno, con le europee, una competizione proporzionale in cui ognuno lotterà per sé; e c’è chi lotterà per la sopravvivenza politica. Parlo di Matteo Salvini: il suo progetto di partito nazionale è fallito. La Lega deve tornare alle origini, a essere la piccola entità secessionistica di Umberto Bossi.

In questo scenario, la sinistra non deve fallire il suo compito storico. In Sardegna Elly Schlein ha avuto una fortunata intuizione. Ma non va sprecata. Non credo a un duello fra Conte e Schlein. Fra i due, fra le rispettive due forze, c’è la presa d’atto che nessuno può essere polarità unica e assoluta. Ed è l’altro elemento che viene fuori dal voto sardo: la società italiana e il suo sistema politico è plurale, non riesce a essere bipolare.

La linea di difesa Nato

Infine, un elemento importante di politica internazionale. Nella sconfitta della destra in Sardegna si può leggere anche un allarme dello schieramento atlantico. Non dimentichiamo che l’isola, come spiegava spesso Francesco Cossiga, nei piani della Nato è considerata la linea di arretramento e di difesa atlantica in caso di occupazione dell’Italia. Non è casuale che la Sardegna è l’area dove l’arsenale è forte, le presenze atlantiche sono consistenti e vigilanti. Oggi la situazione è diversa: e tuttavia le tendenze filorusse che ci sono in Italia, fin dentro il governo, ci rendono permeabili a incursioni dell’Est che cerca espansione, chiamiamole direttamente di tipo sovietico, perché il sistema è rimasto quello, indipendentemente dal comunismo storico e dal sistema definito dall’intervento economico dello stato nella società.

La questione è importante: ci sarà una pressione perché l’Europa adotti provvedimenti per un rafforzamento autonomo della sua difesa. Ursula von der Leyen già ha iniziato a parlarne. Il timore di una penetrazione facile in Italia e nei paesi dell’Est, dalla Polonia a tutto il confine orientale, è ormai all’attenzione internazionale. La destra ha un’incapacità strutturale di essere forza di difesa nazionale atlantica. L’opportunismo di Meloni la porterebbe, per ragioni di potere, a essere una Gauleiter, cioè un capo di governo per conto dell’est. Tanto più se negli Usa dovesse vincere Trump.

L’Europa diventa un’area a rischio di penetrazione, perché l’Italia ha un pluralismo potenzialmente disgregatore, non essendo un pluralismo dotato di forti dottrine politiche, capaci di coesione nazionale.

Dunque il compito della sinistra oggi è uno, soprattutto: fornire all’Italia una forte dottrina, l’unica in grado di smontare la destra e rivelarne l’ambiguità. Il voto sardo va dunque meditato bene, uscendo dallo schema al quale vogliono ricondurci i piccoli apparati di partito: chi ha vinto di più, chi di meno. Si è invece rimesso in moto un sistema che sembrava ormai soffocato dall’ineluttabilità della durata della destra. Non sottovalutiamo l’enfasi che si pone in queste ore sull’intervento di Mario Draghi, che invita l’Unione a fare le riforme per dare unità politica all’Europa. Ma l’unità politica dell’Europa passa dalla sconfitta della destra, che non è e non può essere organica all’unità politica perché vive di residui nazionalistici, per fortuna non più attuabili.

Oggi, primo marzo, si apre a Roma il congresso dei partiti socialisti europei. Schlein colga l’occasione per aprire un approfondito dibattito sul ruolo dei partiti nazionali della tradizione socialista e socialdemocratica, laburista e libertaria, per gettare le basi di una proposta organica di unità politica dell’Europa, per fronteggiare le possibili cadute conservatrici e isolazioniste degli Usa, e le tentazioni storicamente sempre presenti dell’espansionismo della Russia imperialista stalinista-putiniana.

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