C’era una volta il vocale Whatsapp. Era per i pigri, per quelli che non hanno voglia di telefonarti, che scrivere è fatica. Oppure per i solipsistici, in grado di sviscerarti tutta la loro vita sentimentale ma – per carità – alla giusta distanza. Chi non ha mai ricevuto un vocale che supera i cinque minuti e che equivale a una intera autobiografia alzi la mano. 

Sì, ci siamo passati tutti. E infatti figuriamoci se non se ne è accorta la Silicon Valley. Con il passaggio da primavera a estate, e da versione beta a versione definitiva, adesso non importa che abbiate iPhone o Android: potete velocizzare i messaggi vocali. Il diavolo, anche quello Tech, sta nei dettagli, e allora ecco comparire vicino alla fotina di chi vi manda l’audio anche la bacchetta magica per renderne la voce più rapida, velocità 1,5, velocità 2. 

Esco subito allo scoperto: per me è una droga. Io lo so, che questa velocità doppia nasce per rendere ancora più estremo il consumismo delle relazioni. Che quelli troppo pigri per telefonare adesso possono anche essere troppo pigri per ascoltare. Il sistema lo consente: possono manipolare la tua voce per farla stare tra un impegno e un altro, l’ascoltatore svogliato può trasformarti in un clown che si è ubriacato di elio e farti parlare come un cartone animato, se questo è utile a rendere la comunicazione più prestante.

Perché di questo si tratta, e mi scuso se il ragionamento è un po’ da boomer, ma il vocale raddoppiato è consumismo della relazione allo stato puro. Non esiste il tempo dell’incontro, quello che si definisce insieme, esiste l’arroganza di chi non ha tempo e ti velocizza, con il potere che questo strano Prometeo chiamato Whatsapp gli concede con una versione beta adesso trasformata in Definitiva. 

Se non hai tempo per un appuntamento usa una app, se vuoi valutare il partner metti una stella, se ti annoi ad ascoltare clicca x1,5 o x2.

Sì, io la penso così, però è da giorni che clicco x2 e riascolto persino me stessa in versione elio, da adesso mi trovo più simpatica, e devo sembrare anche più efficiente, «tutte le milanesi parlano come te a velocità doppia» mi ha detto qualcuno. 

In mano a me, la funzione fatta per perdere meno tempo diventa una perdita di tempo doppia, perché davanti al nuovo giocattolo mi dico, “adesso lo riascolto”, e a quel punto non capisco più se sono io che sto fottendo il capitalismo oppure è lui che sta fottendo me.

E se la funzione nata per perdere meno tempo non fosse che un modo per farci perdere più tempo lì dentro, dentro la app?

Dovremmo confessare la nostra dipendenza e fare insieme una cura detox. 

Tornare impotenti, incapaci di manipolare l’altro, le sue intenzioni, i suoi tempi.

C’era una volta il vocale Whatsapp x1 e basta. Ci aveva tolto fiumi di parole scritte, e con la parola scritta ci aveva privati della sua ambiguità, aveva dato corpo ed emozioni ai messaggi. Ma almeno quei vocali erano depositati lì, intonsi. Per i romantici, c’era in tutte quelle stringhe una archeologia dei sentimenti; a distanza di anni, ecco la voce dell’ex che ti dice ti amo e che riascolti ora alla luce delle delusioni. Ecco la voce roca di un anziano che non c’è più, sbucare tremolante al tocco di un “play”. Ai tempi – già lontani – del vecchio vocale, le voci erano depositate lì per la nostra personale memoria. “Fuori di me c’é un tempo solo, dato da lancetta e pendolo, ma dentro di me i fatti si compenetrano”, diceva all’incirca il filosofo Henry Bergson, quando distingueva tra tempo e durata. 

Adesso la nostra memoria prescinde sempre più dall’altro, visto che possiamo anche post-produrre la sua voce. Andiamo più veloci, siamo più soli e allo stesso tempo siamo più dipendenti. Non dagli amici, ma da quell’icona lì. E da quel capitalismo x2 che è turbocapitalismo per definizione. 

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