La nomina del card. Matteo Maria Zuppi, arcivescovo di Bologna, alla presidenza della Conferenza episcopale italiana è rilevante per il futuro dell’organismo e delle 226 diocesi cattoliche italiane, ma è segnata dal paradosso.

L’attesa di papa Francesco per una scelta autonoma dei vescovi, espressa apertamente nei primi mesi di pontificato, si scontra con una indicazione quasi millimetrica del papa sul nuovo presidente (cf. l’intervista al Corriere della sera, 3 maggio). La terna uscita dall’assemblea (mons. Antonio Raspanti, card. Matteo Maria Zuppi, card. Augusto Paolo Lojudice) risponde infatti alla identità richiesta da Francesco. La resistenza dei vescovi a scegliere autonomamente il presidente si è saldata con l’attesa del papa di un vertice episcopale sintonico col suo magistero.

Condizione, quest’ultima, favorevole per un rinnovato protagonismo della Chiesa nel paese, ma anche esposta alla verifica di alcune sfide, in parte ereditate dalla gestione del card. Gualtiero Bassetti – figura di grande umanità e spiritualità ma non di spiccata leadership – e in parte prevedibili. Fra gli impegni, solo parzialmente onorati negli ultimi cinque anni, si possono indicare i desideri espressi dal papa nel suo primo incontro con i vescovi italiani 2014, il rinnovamento della pastorale riconfermato nel convegno ecclesiale a Firenze nel 2015, una declinazione più originale nei confronti dei temi sociali e della politica e la struttura degli uffici centrali della Conferenza dei vescovi.

La riduzione delle diocesi

Sulla riduzione del numero delle diocesi poco è stato fatto se non l’accorpamento di alcune diocesi sotto uno stesso vescovo. Non particolarmente brillante è l’opera delle Conferenze episcopali regionali da cui papa Francesco sperava una spinta creativa. Più efficace la risposta italiana sulle indicazioni relative al funzionamento dei tribunali ecclesiastici in ordine ai processi di annullamento dei matrimoni, in corrispondenza con il sinodo sulla famiglia e l’apertura ai divorziati risposati.

La burocrazia degli uffici Cei ha subito un rinnovamento radicale rispetto al potere acquisito durante la gestione del card. Camillo Ruini (1991 – 2006), ma scontando una crescente difficoltà per rivestire i ruoli chiave. Mons. Stefano Russo (2018-2022) ha bene interpretato il servizio funzionale e discreto che gli era stato chiesto. 

La sfida più rilevante riguardava il rinnovamento della pastorale. Papa Francesco ha lanciato l’idea del sinodo nazionale in occasione del convegno ecclesiale di Firenze nel 2015. L’appello per un rinnovato protagonismo delle comunità cristiane in un contesto sociale non più “di cristianità” pur mai formalmente contraddetto, non ha ricevuto il consenso e la spinta necessari per partire, complice anche la pandemia.

Solo nel 2021 si è messo mano all’opera che vede i primi due anni dedicati all’ascolto delle comunità e dei non credenti interessati. L’attuale assemblea generale ne farà una prima valutazione. Sul fronte del sociale le attività sono numerose mentre più fragile è l’interlocuzione con il mondo politico. L’entrismo di Comunione e liberazione e il frontismo dei Neocatecumenali si sono mostrati meno creativi e duraturi della tradizione cattolico democratica che però vede l’estinguersi delle sue generazioni più numerose.

Le nuove sfide

Bassetti ha puntato molto sulla ripresa della mistica-politica di Giorgio La Pira con i convegni a Bari (2020) e a Firenze (2022). La chiusura ai soli vescovi del Mediterraneo nel primo caso e l’evidente distacco di papa Francesco nel secondo hanno depotenziato eventi che potevano rivelarsi promettenti. 

Fra le sfide nuove che si profilano la più rilevante è quella di portare a conclusione un sinodo nazionale che, scavallando la celebrazione di quello vaticano (sempre il tema della sinodalità nel 2023) dovrebbe concludersi nel 2025. La posta in gioco non è solo il protagonismo dei laici, la collaborazione sistematica dentro la Chiesa, una capacità rinnovata di interlocuzione con l’attuale società italiana, ma soprattutto una forma efficace di annuncio evangelico per le future generazioni.

Immediato e urgente è anche la questione degli abusi degli ecclesiastici nella Chiesa italiana che finora ha ricevuto un’attenzione limitata. Ben lontana in ogni caso da un quadro adeguato di conoscenza e di intervento. Meno in evidenza, ma non meno importante è il tema dell’economia per sostenere le opere ecclesiali e le diocesi, come anche quello dell’elaborazione culturale dentro la prassi pastorale. 

Il card. Zuppi, che proviene dalla Comunità di sant’Egidio, ha nelle sue corde l’attenzione al sociale, l’interlocuzione aperta con tutti e uno sguardo internazionale. Per il resto dovrà giovarsi di competenze e generosità da cercare altrove. 

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