Lo scorso 17 dicembre è stata ufficializzata la lista dei cantanti dell’edizione 2021 di Sanremo. «È avvenuta una rivoluzione culturale» dice Giordano Sangiorgi, promoter musicale, ideatore e fondatore del Meeting delle etichette indipendenti (Mei). L’entusiasmo è legato al fatto che forse mai come quest’anno il mondo degli indipendenti, dell’indie per usare un’etichetta alla moda, sarà protagonista del Festival (dai Coma_Cose a La rappresentante di lista, passando per Fulminacci e Aiello, senza dimenticare gli ormai “famosi” Bugo e Lo Stato sociale). Una soddisfazione che però non cancella una realtà che sta diventando drammatica. La pandemia ha colpito duramente il settore musicale. E per chi non ha alle spalle una grande etichetta discografica è ovviamente tutto più difficile. «Tutti quelli che vivevano di concerti e merchandising hanno smesso di guadagnare» dice Sangiorgi.

I dati

Anche per questo il 10 dicembre il patron del Mei insieme ai sindacati e ad altre associazioni di settore ha avviato un confronto con il ministro dei Beni culturali, Dario Franceschini, attraverso il “Tavolo permanente dello spettacolo dal vivo”. «Il dottor Onofrio Cutaia, dirigente del ministero – dice – per prima cosa ci ha assicurato 50 milioni per la musica popolare contemporanea in legge di Bilancio».

Il ministero spiega che si tratta di soldi già messi nelle tabelle della manovra attualmente in discussione in parlamento, ma che la direzione generale spettacolo si occuperà di ripartirli tra più soggetti. Andranno anche alla musica jazz, o folk, e a tutte le categorie che oggi non sono incluse dal Fondo unico per lo spettacolo (Fus).

Una fotografia della situazione l’aveva scattata il 17 novembre il paroliere di Lucio Battisti, oggi presidente della Siae, Mogol. Secondo l’Annuario dello spettacolo Siae, il 2019 era stato un anno positivo. «Raccontare oggi, in pieno ciclone coronavirus, cosa è stato il 2019 per il mondo dello spettacolo e dell’intrattenimento ha un po’ il sapore amaro delle cose perdute» aveva detto Mogol. Confrontando il primo semestre del 2019 con quello del 2020, gli eventi largamente intesi (dall’attività cinematografica a quella sportiva e ai concerti) sono diminuiti del 64,18 per cento. In termini economici, la spesa del pubblico è diminuita di 1,7 miliardi. Nel primo semestre del 2020 ci sono stati 1.437.409 eventi in meno rispetto allo stesso periodo del 2019.

«Purtroppo tutti stiamo vivendo da mesi in un clima di angoscia e preoccupazione, e il settore dello spettacolo, che ha subito ingenti perdite e gravissime ricadute sui livelli occupazionali, è stato tra i primi a chiudere» ha detto il presidente della Siae. Per capire quanto la musica sia stata colpita da questo calo basta guardare i dati del settore e in particolare, quelli della musica leggera. Nel 2019 sono stati censiti 18.223 spettacoli e, con 11,4 milioni di ingressi, i concerti pop, rock e indie hanno rappresentato il 74,67 per cento del totale. La spesa al botteghino è arrivata a 468,6 milioni di euro. «Senza dubbio – ha sottolineato Mogol –, uno tra i maggiori valori rilevati nei diversi comparti dello spettacolo».

Una lunga storia

Quest’anno il Mei ha compiuto venticinque anni. In linea con il nostro presente pandemico Sangiorgi ha voluto organizzare a inizio ottobre un’edizione più concentrata del Meeting senza rinunciare comunque ad alcune esibizioni live. Sul palco di Faenza anche Colapesce e Dimartino che il prossimo marzo saranno anche a Sanremo. Sangiorgi però guarda al futuro e dice: «Per la primavera 2021 di questo passo ci aspettiamo 100mila disoccupati». Secondo Stage!Coordinamento Musica e Spettacolo Indipendente ed Emergente, che riunisce oltre 60 realtà nazionali in rappresentanza di circa 50mila operatori della filiera dello spettacolo indipendente ed emergente, sono infatti a rischio chiusura oltre il 50 per cento delle piccole imprese. «Per i grandi, ci sono i passaggi in radio, c’è la Siae, le etichette indipendenti non hanno gli stessi introiti», sottolinea.

In realtà il problema della sopravvivenza è precednete alla pandemia. La rete Stage! e Indies infatti è nata «da un’esigenza spontanea già prima dell’emergenza. La questione riguarda la filiera del made in Italy, microimprese e autoproduzioni, e i club a rischio chiusura, perché non c’è mercato».

Passato e futuro

Anche se adesso il problema è il virus, quello che ha fatto più male alla musica alternativa è la dipendenza dai concerti. «Noi siamo di fronte a un mercato che si sta globalizzando, vincono quelli che vendono link, visualizzazioni, streaming, download, facendo grandi numeri, quindi è evidente che quelli che hanno un mercato nazionale non hanno introiti dalla vendita del prodotto», dice Sangiorgi. Il loro punto di forse erano «il concerto, la maglietta, e poi Sanremo. Un festival che ha definitivamente aperto le porte alla musica indie dando spazio a chi partiva da realtà considerate sfigate. Noi continuiamo a presentare le nuove proposte, c’è stato anche Ghali nel 2016. Oggi la musica indipendente è sdoganata». Ma con il coronavirus tutto questo si è fermato.

Un decreto ristori

Adesso, dice Sangiorgi, «dobbiamo parlare di ripartenza». Il settore preme perché si possano organizzare al più presto gli eventi: «Da noi è tutto controllato, andare a un concerto e come andare al supermercato». Per “ristorare” le attività l’associazione ha proposto un nuovo decreto: «Finora sono mancati dei codici Ateco che ci permettessero di ricevere le compensazioni».

La richiesta però è più forte: «Serve un tavolo di crisi, con i numeri del settore valiamo come un qualunque altro stabilimento industriale».

La musica popolare e i circuiti indie «devono essere definitivamente riconosciuti». Nel corso della prima riunione del tavolo al ministero si è parlato anche della riforma del Fus.

In futuro bisognerà mettere mano anche alla diffusione in rete: «Per noi non ci sono sono piattaforme nazionali che contrastino Google, chiediamo un motore di ricerca. Il problema è stato quello di lasciare il mercato a dei monopolisti. Serve un intervento europeo».

Mentre si attendono le compensazioni economiche immediate e le proposte per lo streaming in futuro, in parlamento sono stati presentati due disegni di legge per i lavoratori dello spettacolo.

Uno è stato presentato a novembre, “Disposizioni per la tutela delle lavoratrici e dei lavoratori dello spettacolo”, firmato dalle deputate Chiara Gribaudo (Pd) e Alessandra Carbonaro (M5S), l’altro per istituire uno “Statuto sociale dei lavori nel settore creativo, dello spettacolo e delle arti performative”, è stato firmato da Matteo Orfini e dal senatore Francesco Verducci, entrambi del Pd.

I sindacati, mentre hanno partecipato alla stesura della prima proposta, non hanno gradito la seconda.

In una nota della Slc Cgil si legge che è stato «maldestro anche il tentativo di definire, con questo disegno di legge, gli ambiti di lavoro per l’autonomia e la subordinazione nel settore». Sangiorgi non si espone, studierà i disegni di legge e ha intenzione di interloquire con i parlamentari: «Per le piccole e medie partite Iva ancora non si sa cosa faranno. Ma la buona notizia è che faranno qualcosa». Come canta Carmen Consoli con Calapesce e Dimartino «è un istinto primordiale riuscire a non farsi male».

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