«Cosimo, non pecchi di felicità. Siamo solo poeti. Amiamo il mondo, abbiamo bocche luminose di un amore invisibile. È questa la poesia che cerchiamo. Non stacchi il telefono. Venga a farmi visita. Saffo è già morta. Ma d’amore. Non occorre vivere a tutti i costi. Lasciamo che vivano i libri». Queste parole mi tornano alla mente, oggi, nel primo giorno di primavera, Giornata mondiale della poesia, oggi Alda avrebbe compiuto 90 anni. «Sono nata il ventuno a primavera / ma non sapevo che nascere folle, aprire le zolle / potesse scatenar tempesta».

Alda se n’è andata il 1° novembre del 2009. Undici anni dal suo volo. Quanti poeti ci stanno lasciando. Non c’è più neanche Lucio Dalla. Anche lui partito per il secondo tempo della vita. Enzo Iannacci una volta ricordando Fabrizio De André mi disse: «Le carogne vivono a lungo, i poeti muoiono presto». Qualche anno prima Alda scrisse dei versi per Lucio Dalla. […]«Caro amico ti scrivo che sto morendo d’amore».

La vita

Vi racconto alcune giornate con Alda. Dalla radio Vasco Rossi canta Vita spericolata, Alda mi prende le mani, mi stringe forte e si libera nel canto. Si commuove. E penso che Alda sia la Vasco Rossi della poesia e Vasco l’Alda Merini del rock. […]«Anch’io avventuriera dell’anima presi infiniti voli/ finché trovai un muro che mi lasciò senza parole eppure credimi/ io entro ed esco dalle prigioni con la gioia di una farfalla».

I versi di Alda per Vasco sono affidati agli occhi della memoria di Vincenzo Mollica. «La musica – mi confida Alda – è un linguaggio molto più potente della poesia. Vasco, Vecchioni, Dalla, Celentano sono i veri poeti». Milano, Navigli, via Ripa di Porta Ticinese numero 47. Giuliano Grittini con la sua macchina fotografica cattura l’anima della poeta. Lei indossa grandi orecchini a forma di foglia d’argento. Le unghie sono smaltate di rosso fuoco come le Marlboro dai filtri spezzati. Una vestaglia azzurra.

Mi dice, riferendosi al pianoforte «Me lo hanno toccato, guarda… qualcuno entra in casa secondo me!» Alda accenna a Johnny Guitar, è uno speciale benvenuto. Leggo una poesia: «Un giorno ho perso la parola, /sono venuta qui per dirvelo e non perché voi abbiate risposta./Ho meditato a lungo nel silenzio, ma al silenzio non c’è una risposta. /Io le mie poesie le ho buttate, non avevo più fogli su cui scriverle».

Alda mi interrompe: «Ma che bella poesia». Le rispondo: «Poeta, questa me l’ha dettata lei l’altro giorno. Ecco, legga come va a finire». Alda continua a leggere i versi della sua poesia, le sue unghie nella mia carne : «Poi mi si sono avvicinati strani animali come uomini di antenate bestie da manicomio qualcuno mi ha aiutato a sentirmi unica, mi ha guardato. […] È venuto un santo che mi ha risposto: “perché non ti ami?” È nata la mia indolenza. Non vedo più gente che mi picchia e non vedo più i manicomi».

La casa

Alda spezza il filtro della sigaretta, fa un lungo tiro. Provo a contare i filtri sparsi per la casa. Sono cento sigarette. Alda: «Eh dai con questi manicomi. È la vita». Che dono è stato entrare in casa sua. Prego lettrici e lettori, entrate anche voi fra queste mura decorate dai numeri scritti con il rossetto. In questa casa dove si respira la commozione, il dolore, la gioia e la rivoluzione della poesia.
Ecco le sue parole: «La poesia fa parte della vita. È un dono. In questi giorni, io ho toccato il fondo della disperazione […]perché sono l’autrice del <CF1102>Diario di una diversa</CF> con cui Basaglia ha chiuso i manicomi e vorrei capire che cosa è, invece, la depressione». Le chiedo se la poesia è un’occasione di vita. Mi sorride: « Sì, è una bellissima occasione di vita. Solo che tutti ne vorrebbero un pezzettino. Io ho sentito gente che si è strusciata vicino alla Merini, che ha toccato la Merini, che ha fatto l’amore con la Merini quando io godevo di una sola e ineffabile solitudine che m’hanno strappato dal cuore. La follia è sempre stata vista come una grande maledizione. Ma dalla follia riesci a trarre la poesia e a partorire quel capolavoro che è la Terra Santa, narrata in chiave metaforica come i Vangeli».
Nella sua poesia c’è il peso del dolore cristiano, la croce del manicomio. Dalla poesia al manicomio. Inesorabilmente. «Io mi sono trovata in manicomio e ho detto “Non ho colpa, però qualcuno saprà perché sono qui” - Dio, perché l’uomo non me lo ha spiegato». Come sarebbe bello scrivere sulla carta d’identità «professione poeta».
Il papa
Mentre scrivo questo articolo per festeggiare i 90 anni di Alda, dalla televisione passa un servizio sul viaggio di papa Francesco in Iraq. Sono sicuro che la Merini si sarebbe innamorata follemente di Bergoglio, così simile al suo San Francesco. E ancora le sue parole profetiche nella mente: «San Francesco è il rifiuto di ciò che non è puro, di ciò che è inquinato dal male». Il saluto alla grande povertà che c’era nei manicomi. Ecco perché non volevo dirlo a nessuno di essere un poeta. Quel saio rattoppato, la rivolta dei frati, la lingua italiana. San Francesco è il padre della lingua italiana. E poi stracciato com’è osa presentarsi davanti al papa, chiede una guida santa, ma non sa dove trovarla. Certo, noi poeti non possiamo darla questa guida, siamo deboli, siamo dei peccatori, però così San Francesco osa presentarsi al papa, e il papa lo riconosce come il grande editore riconosce il talento, dice: “Questo è un grande poeta”. Ma ci vuole il grande editore, se no uno muore in miseria. Io ormai potrei dire che sono celebre grazie al riconoscimento dei miei amici, alla mia forza d’animo, al lavoro, alla fede nell’arte, ai miei figli che sono stati, non lo so, quelli che mi hanno spinto in avanti e nella speranza di vederli sono passati gli anni. Adesso sono vecchia, credo che non li vedo più. Hanno aspettato troppo. Io sono qua, qualsiasi cosa che compro, la compro per loro. Li ho persi, ma pensare che quello che mi ha fatto più male non è stata la vita, ma gli ignoranti, gli psichiatri, gli psicologi, quelli che non sanno cos’è l’arte, il pensiero e l’hanno rifiutato. Ecco il <CF1102>Magnificat: </CF>si accetta anche di morire per i figli e poi stranamente come la Madonna si diventa gloriosi, ma quanta sofferenza».
Alda mi afferra le mani, mi carezza i capelli e la barba lunga da Gesù Cristo. Un silenzio che muove le finestre. Alda si risiede al pianoforte. Mi canta Il tuo bacio è come un rock di Celentano. Alda è proprio la Dante Rock. Dante ci ha lasciato la Divina Commedia, la Merini ci ha lasciato la Divina Poesia. Lei era Beatles e Rolling Stones insieme. Il suo più grande insegnamento? Quello di cercare la poesia in tutto, nelle cose più fragili. Voglio raccontarvi la Merini vera, quella che piange pensando ai suoi figli strappati al suo seno dal manicomio. La poeta che ha amato la poesia fino a rischiare la vita stessa.
Il funerale
Raccontarvi un ricordo? Più che un ricordo è un odore. Quello del giorno dei funerali, funerali di stato perché l’Italia doveva riscattarsi dal fatto di essersi dimenticata di lei. “La pazza della porta accanto”, la coscienza sporca della cultura italiana. Così, in un duomo in cui trionfanti carabinieri con i pennacchi (che tanto evocavano quelli di Bocca di Rosa di De André) scortavano il feretro, accanto a politici seduti in prima fila, insieme agli amici di sempre e ancora giovani adolescenti, frati francescani, insegnanti, medici, psichiatri, chiunque l’avesse amata od odiata, mentre il monsignor Brambilla dispensava incenso, si respirava un forte odore di misticismo e sacralità. A un tratto si spalancarono le porte del duomo ed entrò un esercito, ognuno aveva una busta piena di stracci, dolori, fotografie, passato e vita. Era l’esercito di barboni: un forte malodore nauseò il duomo, l’odore della strada invase la navata della chiesa. Prorompente fu la forza della poesia. L’odore di incenso sacro e la puzza nauseante della strada si fusero in una fragranza intensa e piacevole. Questa è la forza della poesia di Alda Merini, unire ciò che è sacro a ciò che è umile. Quel giorno ho compreso il senso della poesia. Buon Compleanno, Poeta Merini.

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