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Quando, nel gennaio del 1982, Einaudi pubblicò i Diari di Antonio Delfini, fu Cesare Garboli a scriverne la prefazione. Ora, per merito di minimum fax, quelle magnifiche quarantasei pagine sono ritornate in libreria con il titolo Un uomo pieno di gioia.
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Non è un tributo docile alla memoria di un vecchio amico, quello scritto da Garboli, né un salamelecco a uno scrittore da tempo deceduto: è un addio che si confonde con l’abbraccio più struggente.
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Fu un’amicizia di quindici anni, la loro, che ci appare come molto più duratura, come quelle amicizie estive da bambini che pur se soltanto di due mesi fanno un’ombra lunga una vita.
Si conobbero sul lungomare viareggino quando la guerra era finita da poco. Cesare Garboli aveva diciassette anni e Antonio Delfini forse trentotto. Qualche tempo dopo, di Viareggio, il padre del primo sarebbe diventato sindaco. O forse aveva trentanove anni, Delfini, visto che c’è incertezza sul fatto che fosse nato nel 1907 o nel 1908. Glielo presentarono come uno scrittore, ma Garboli capì che si trattava innanzitutto di un personaggio da romanzo. La seconda cosa che capì di lui è che era div



