Quando negli anni Novanta il cinema americano e il Saturday Night Live volevano fare satira sui più disastrosi consumi culturali nazionali – prima che i reality show stravolgessero definitivamente ogni confine tra spettacolo e voyeurismo – i bersagli degli autori erano sempre gli stessi: i talk show pomeridiani, quelli che ogni giorno garantivano la rissa tra gli ospiti su questioni fino a poco prima considerate sacre e privatissime. Paternità dubbie, sospette infedeltà, neonati scambiati in culla: a un certo punto il conduttore rivelava i risultati del test del Dna pagato dalla produzione e le sedie iniziavano a volare tra lacrime, insulti e svenimenti.

Come quasi sempre succede, quello che ieri ci sembrava deriva distopica o commedia nera è oggi una normale nicchia di intrattenimento che va dai programmi di emotainment sulla genealogia dei famosi (Who Do You Think You Are?, format Bbc prodotto in venti paesi) ai siti che analizzano a poco prezzo i kit salivari degli utenti curiosi di conoscere le proprie origini, e che a volte risolvono inconsapevolmente cold case efferati quando viene fuori che un certo Dna è molto simile a quello repertato dalla polizia a caccia dell’inafferrabile assassino da dieci o vent’anni (con l’inevitabile documentario true crime a seguire).

L’industria del feuilleton genetico funziona a pieno regime: garantisce copertura mediatica, coinvolgimento social e picchi di ascolto, ha un pubblico già fidelizzato da anni di inchieste e “rivelazioni” sui casi di cronaca che cerca di risolvere, e soprattutto costa poco.

Se n’è accorta persino la televisione italiana, finora piuttosto cauta a scalettare agnizioni via provetta (con un’eccezione di cui parleremo dopo): ma è stata tutta colpa della tv russa che ci ha trollato, come aveva già fatto con lo special di capodanno Ciao 2020, dimostrando che si può destabilizzare un paese anche senza cyberspionaggio. Ci riferiamo naturalmente al caso Olesya, la ragazza apparsa alla tv russa in cerca dei genitori dopo essere stata rapita da bambina, e che somigliava molto a Denise Pipitone, la bambina siciliana svanita nel 2004. Somiglianza che ci ha precipitati in un cortocircuito mediatico e in una grottesca Internazionale della tv del dolore, della tv di servizio e della tv spazzatura, per una volta unite: i risultati dei test su Olesya non comunicati alla madre di Denise per non spoilerare la puntata del programma russo, l’avvocato della signora che si dissocia, poi ritratta, poi minaccia ritorsioni, il fuso orario Mosca-Roma che tra show in differita e show in diretta brucia e smentisce a ripetizione scoop presunti, Federica Sciarelli che dedica mezza puntata di Chi l’ha visto alla vicenda precisando ogni dieci minuti di sapere benissimo che è tutta una farsa ma è bello sognare (ascolti record), Barbara D’Urso che spaccia per esclusive foto prese da Twitter, poi dice che la tv russa è indecente (nel 2019 Barbara D’Urso costruì un’ora di trasmissione sulla lettura del test del Dna di una soubrette in cerca della madre biologica), poi ospita un altro russo che conosce Olesya e sostiene che lo abbia fatto per diventare famosa (prossima ospite di Barbara, dunque). Infine il conduttore sovietico che si scusa con l’Italia perché non pensava sarebbe successo tutto questo casino, chi l’avrebbe mai detto.

Naturalmente Olesya non è Denise, ma non è più questo il punto: è già iniziata la nuova soap da laboratorio, col bambino scomparso che la madre ha riconosciuto in uno sceicco (!) visto in tv. Negli anni in cui è diventato complicatissimo girare film e sceneggiati per via del virus, anche la tv italiana ha capito che basta un campione di saliva per macinare ore di fiction.

 

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