Annie Londonderry, influencer della bicicletta

Uno degli slogan più famosi del femminismo della seconda ondata è quello coniato negli anni Settanta dall’australiana Irina Dunn. «Una donna senza un uomo è come un pesce senza bicicletta». Alle donne invece le biciclette, il secolo precedente, erano state utilissime. Soprattutto negli anni Novanta, cruciali per il femminismo e uno dei picchi della bike craze, il boom delle biciclette. Non c’è icona più interessante per esemplificare il legame tra l’emancipazione femminile e il ciclismo di Annie Londonderry. Pseudonimo di Annie Cohen Kopchovsky, «una donna» senza nome nel primo trafiletto che le dedica il New York Times, la prima donna a fare il giro del mondo in bici. Ma, in un certo senso, è anche una influencer ante litteram. Cosa vuole una donna? Carla Lonzi in dialogo con Consagra Sul sellino È il 27 giugno 1894 (circa due anni prima che la pioniera del femminismo americano Susan B. Anthony, intervistata dalla giornalista viaggiatrice Nellie Bly, dica: «Lasci che le dica cosa penso della bicicletta. Penso che abbia fatto più di qualsiasi altra cosa al mondo per emancipare le donne. Gioisco ogni volta che vedo una donna passare in bicicletta») quando parte da Boston. Kopchovsky ha 23 anni e lavora vendendo spazio pubblicitario nei giornali locali bostoniani. È ebrea, originaria della Lituania, ed è sposata con tre figli. Vive nel West End, stesso quartiere di Boston da cui viene un’altra leggenda del ciclismo, Kittie Knox. Figlia di una donna bianca e di un uomo nero, Knox è la prima donna nera entrata a far parte della League of American Wheelmen nel 1893 e deve lottare per partecipare alle gare di ciclismo in un’epoca di segregazione razziale. A differenza di Knox, Kopchovsky non è un’atleta. È piuttosto un’imprenditrice, in un certo senso anche una content creator. La origin story del suo viaggio – contestata nel saggio Il giro del mondo in bicicletta del suo pronipote Peter Zheutlin – è quella di una scommessa di due gentiluomini che sostengono che una donna non sarebbe stata in grado di fare il giro del mondo. Secondo la storia ripetuta da Kopchovsky a ogni tappa del suo viaggio, avrebbe ricevuto 10mila dollari se fosse stata in grado di terminare il suo giro in meno di 15 mesi. L’ultimo sprint del profeta Elia Viviani: il leader che ha emancipato il ciclismo su pista italiano Si finanzia però soprattutto trasformando la sua bici e la sua persona in un cartellone pubblicitario mobile. Il nome con cui si presenta al mondo e con cui viene raccontata sui giornali, Annie Londonderry, viene da quello di uno sponsor: il marchio della Londonderry Lithia Spring Water Company del New Hampshire è ben visibile su un cartello appeso alla protezione della sua ruota posteriore. Parte con una bici troppo pesante, che cambia con una più leggera, da uomo, a Chicago, dopo qualche settimana di viaggio: lì lavora con la Sterling Cycling Company, che le propone un telaio molto più leggero, progettato per gli uomini, e che stipula con lei un contratto per farsi pubblicizzare durante il viaggio. Quasi come l’adv degli influencer sui loro profili Instagram. Anche i suoi vestiti sono spazio pubblicitario. Ma sono anche criticati ferocemente dalla stampa. Perché da Chicago in poi si toglie la gonna e indossa pantaloni a sbuffo: una delle liberazioni che la bici garantisce alle donne è quella da abiti che restringono troppo i movimenti. Oltre alla pubblicità, Kopchovsky tiene lezioni, fortemente romanzando le sue avventure, inventando dettagli ed episodi. Lo fa per tutto il suo viaggio, che dalle sponde americane dell’Atlantico la porta fino in Francia e poi da lì, viaggiando per lo più per nave, verso Alessandria d’Egitto, Port Said, Colombo, Singapore, Saigon e Hong Kong, Shangai, Nagasaki, Kobe e Yokohama. Dal Giappone torna poi in California, e riprende a pedalare attraverso gli Stati Uniti. «Narratrice incallita, abile promotrice di sé stessa e magistrale creatrice del proprio mito, trasformò il suo viaggio in uno dei capitoli più scandalosi della storia del ciclismo e sé stessa in uno dei personaggi più pittoreschi dei vivaci anni Novanta dell’Ottocento», scrive Zheutlin. Corrono in tanti, vince solo Pogačar. Il ciclismo è sempre meno attraente Anche se viene buttata fuori strada da un carro poco fuori da San Francisco gli Stati Uniti, insieme alla Francia, sono probabilmente uno dei paesi dove Kopchovsky riesce a pedalare di più (una delle critiche che compaiono sui giornali contro di lei è che nel corso del suo giro del mondo abbia viaggiato molto di più per nave che in bici). Un fatto un po’ ironico, se si pensa alla percezione che oggi abbiamo degli Usa, soprattutto visti dall’Europa. Felicity Cloake, food writer per il Guardian, lo evidenzia bene in Peach Street to Lobster Lane (Muldark, 2025), racconto di viaggio in bici alla ricerca della cucina americana. Quando la scrittrice inglese annuncia l’intenzione di attraversare gli Stati Uniti a pedali, dopo aver fatto lo stesso in Francia e Gran Bretagna, la reazione quasi univoca dei suoi conoscenti è di allarme: «Verrai investita da un camion in California». E in effetti nel libro sono molti i momenti in cui Cloake rischia di farsi male in incroci stradali enormi e difficili da attraversare. Il gender gap estetico e il dominio delle Kardashian sulla nostra psiche La mostra Sono ben altri i rischi affrontati da Kopchovsky. Rischi che ancora oggi fanno da sfondo alle donne che scelgono di viaggiare da sole. Pericoli che però, ieri come oggi, non le fermano. Una parte della mostra della Biblioteca apostolica vaticana “En Route”, organizzata in collaborazione con la Maison Dior, è proprio dedicata alle donne viaggiatrici. È la sezione ideata da Maria Grazia Chiuri, direttrice artistica delle collezioni donna Dior, e Karishma Swali, che guida il ricamificio Chanakya International, che chiude il percorso espositivo dopo quelle pensate da Lorenzo Cherubini e dall’artista Kristjana S. Williams. Mentre Jovanotti racconta i suoi viaggi tra suoni e immagini e Williams illustra una sezione incentrata sul console italiano dell’Ottocento Cesare Poma e due giornalisti globe trotter, l’ultima parte è dedicata alle storie di sei donne viaggiatrici. I loro percorsi sono rappresentati in pannelli intessuti dalle artigiane e dagli artigiani della Chanakya School of Craft, in India. I ricami mappano così i percorsi di Nellie Bly, di Elizabeth Bisland, di Gertrude Bell e delle gemelle Smith. E di Annie Londonderry, influencer della bicicletta. [Missing Caption][Missing Credit]