Basquiat è senza dubbio uno degli artisti contemporanei più iconici, affascinanti, controversi e sexy. Amatissimo in vita ma soprattutto fonte di enorme ispirazione e quasi venerato post mortem da intere generazioni di pittori, artisti visivi, street artist, performer, attori e musicisti. Credo perché la sua poetica, la sua comunicazione, sia stata e resti totale, libera, trasversale, priva di steccati di genere e di barricate umane, politiche o stilistiche. Per me era semplicemente provocazione pura.

Est(etica) del sé artistico, aderenza assoluta della cultura personale, del suo dna, del vissuto e dell’esperienza con le proprie capacità tecnico-espressive e il desiderio di comunicare, di raccontare, di suscitare emozioni spesso estreme. Un cocktail straordinario di esotismo e cruda realtà metropolitana.

Il rapporto con Warhol

Mi ha sempre affascinato il suo rapporto umano e artistico con Warhol, come una sorta di emblema del vero sogno americano che azzera le differenze di classe, provenienza, età, sesso e sessualità sotto un’unica grande bandiera: quella del talento puro. Almeno a New York e certamente in quegli anni sembrava davvero tutto fosse possibile. A partire dagli inizi, dal ragazzino adorante che con una sorta di incosciente supponenza tenta (per poi riuscirci) di vendere le proprie cartoline in un bar al già riconosciuto collega, fino ad arrivare alle loro collaborazioni/battaglie pittoriche culminate nel ciclo di opere a quattro mani (e poi sei con Francesco Clemente). Una parabola fulminea, ma senza dubbio un lampo troppo luminoso per passare inosservato o tanto meno venire dimenticato.

Ho sempre sognato quella scena provando a immaginare quanto potesse essere stato eccitante vivere quella New York di metà, fine anni Settanta e primi Ottanta, la città dello Club 57 e del Cbgb’s, di Warhol e Lou Reed, di Patti Smith e di Basquiat, di Keith Haring e dei Suicide. E proprio in questi giorni in cui sotto i colpi della pandemia anche altri simboli di quella New York chiudono i battenti mi piace ricordare e ringraziare ancora l’estro, il genio, la follia e la spericolatezza ma soprattutto la freschezza e la gioia di essere un uomo e un artista libero di questo straordinario personaggio che risponde all’altrettanto affascinante e predestinato nome di Jean-Michel Basquiat.

In Italia

Il romanzo Basquiat. Viaggio in Italia di un formidabile genio scritto da Anna Ferri, edito da Aliberti compagnia editoriale, parte proprio dalla New York del 1981, dove il gallerista Emilio Mazzoli vede le opere di Basquiat, allora conosciuto come Samo, alla mostra “New York/New Wave” e lo invita per la sua prima personale in assoluto in Europa, in Italia. A Modena. Nella sua galleria di via Nazario Sauro 62, dove poi sarebbe nata la transavanguardia di Paladino, Chia, Cucchi, Clemente e De Maria. Il racconto inedito delle giornate a Modena tra pomeriggi a dipingere con la musica a tutto volume, serate nei club e iconiche coroncine lasciate sui muri della città arriva dalla storia familiare dell’autrice, la cui madre, in quegli anni ventenne, era l’assistente di Mazzoli e diventa amica e, con il ritorno di Basquiat l’anno successivo, modella dell’artista per un enorme ritratto. Nel libro vediamo il giovanissimo Basquiat annoiarsi nella provincia italiana, fregarsene se la prima mostra non viene capita e tornare un anno dopo da star della scena internazionale, senza perdere la capacità di meravigliarsi come un bambino quando scopre che lo studio dove lavora ospita le opere di Mario Schifano e, proprio lì, lo guardiamo realizzare alcune delle sue opere più famose.

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